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Pubblichiamo la seconda parte dell’intervento di Raffaella Della Bianca, consigliera regionale della Liguria (Gruppo misto), che Formiche.net ha ricevuto e che volentieri ospita.

Leggi qui la prima parte

Mi pare un po’ miserevole la spiegazione che dà dal carcere Enrico Maltauro: tutta la colpa è di Silvio Berlusconi che nel 1994 bloccò Mani pulite. Miserevole perché è il contrario della verità: Mani pulite bloccò Forza Italia nel 1994 e per sei anni, dal 1995 al 2001, la mise fuori gioco. E i governi Dini, Prodi, D’Alema 1 e 2, nonché quello Amato avrebbero potuto portare a termine qualsiasi rivoluzione risanatrice che avessero voluto, senza possibilità di interferenze berlusconiane.

Il fatto è che invece di riformare il sistema, si insistette a pensare di condizionarlo dall’esterno con i pm e con la subordinazione all’Europa. Lo stato in cui ci troviamo nasce da questa scelta e i governi Berlusconi 2001-2006 e 2008-2011 non hanno cambiato questo stato di cose non solo per alcune loro rilevanti carenze politico-culturali ma anche perché ogni volta che hanno tentato scelte riformiste sono stati bloccati (certamente anche grazie a propri pasticci che però non furono l’elemento decisivo) dai due vincoli accettati dalla sinistra: strapotere dei pm e strapotere tedesco.

Il vecchio sistema non esiste più nella sua logica generale che sia pure con una perversione strutturale funzionava, ma esistono ancora “sistemi” (a partire dalle cosiddette “regioni rosse”) derivati da quello antico. Non sostituiti grazie a vere riforme questi “derivati” sono largamente ancora in atto e contribuiscono a strangolare l’Italia e produrre anche miserevoli episodi (assai diffusi) di affarismo parapolitico.

AFFRONTARE LA QUESTIONE
In questo senso è impossibile dotarci di regole razionali se non si affronta la questione illegalità in tutte le sue dimensioni a partire da quelle istituzionali. Le relazioni tra esecutivo e assemblee legislative se non sono limpidamente regolate producono sistematicamente conflitti che alimentano aree di degenerazione, innanzi tutto rendono retorico parlare di vera distinzione e in casi determinanti necessaria separazione tra politica e amministrazione, per non parlare poi del caos tra amministrazione centrale dello stato e quella delle realtà territoriali regolata da un sistema di norme anche costituzionali ubriache. Inoltre poi per quel che riguarda gli appalti pubblici si è prodotto anche una sorta di dualismo: i sistemi investiti direttamente da Mani pulite sono collassati, quelli dove le procure sono state “delicate” con il generalizzato intreccio iniziativa pubblica-finanziamento (formalmente illegittimo fino al ’92 ma strutturale di fatto) dei partiti si sono spesso allargate. Si consideri la morìa di imprese indigene di costruzione, di engineering e immobiliaristiche milanesi e le società che oggi dominano il mercato sotto la Madonnina.

LE RISPOSTE D’EMERGENZA NON FUNZIONANO
Intanto la tendenza prevalente in tutti questi anni è stata quella di dare risposte d’emergenza che plachino un’opinione pubblica ragionevolmente scossa. Ma senza un’adeguata riflessione sistemica non è si combinato e non si combinerà niente.
In generale per razionalizzare i controlli sull’attività pubblica servirerebbe innanzi tutto un serio sistema di standardizzazione delle operazioni, un sistema di auditing che tenga sotto controllo procedure, tempi, avanzamento dei lavori, ricorso ai subappalti: una buona informatizzazione di tutte le attività connessa a ispezioni ex post dovrebbe funzionare.
Servirebbe anche un’omogeneità degli standard: i comuni devono essere liberi nelle scelte “politiche” ma standard e procedure per appalti e piani regolatori devono essere decise da una conferenza regione-enti locali che vale per tutto il territorio interessato, sopprimendo le mille invenzioni per cui passano i mille imbrogli.

Infine il mercato degli appalti va valutato nella sua specificità non riproducendo astrattamente regole manchesteriane che valgono chessò per il mercato delle automobili.
Prendiamo una grande opera come può essere l’Expo, la Città della Salute di Milano o il Porto di Genova, queste imprese sono normalmente divise in diversi lotti, per garantire la concorrenza basterebbe che all’impresa che prende il primo e più importante lotto, non potesse prenderne anche altri. Anche solo questo semplice meccanismo impedirebbe quelle corse al ribasso a cui assistiamo.

LA PROPOSTA DI CANTONE

Infine va presa seriamente la proposta di Raffaele Cantone delle sanzioni permanenti per imprenditori, manager e politici che continuano a ricorrere a metodi illegali per le loro attività. Il problema è che se è vero quel che dice la guardia di finanza che il 68 % degli appalti sono segnati da illegalità, con una scelta radicale si avrebbe il risultato o di distruggere un pezzo rilevante dell’economia italiana o di sottometterla allo strapotere di pm che si è visto anche in queste settimane come siano in grado di favorire questa cordata rispetto a quell’altra aprendo guerre al loro interno.

SFIGATOPOLI

La realtà è che i sistemi di controllo sul territorio, di cui bisogna tenere conto, ma che siano aperti per puntare a una società veramente libera e moderna, hanno sostituito al predominio dei vecchi partiti, quello delle banche e delle procure che si esprime innanzi tutto sui media. Modernizzare e aprire significa affrontare questa realtà non quella di sfigatopoli (cioè le vergognose imprese dei vari Frigerio, Greganti, Maltauro e così via). Per puntare a questo obiettivo, lasciando da parte una riflessione sul sistema bancario a cui ci dedicheremo un’altra volta, bisogna affrontare con coraggio la riforma della magistratura: la società aperta deve valere anche in questo settore, altrimenti il suo freno in questo settore, farà marcire tutto il resto.

LA FUNZIONE DEI GIUDICI

La funzione dell’accusa è una funzione politica come dimostra con nettezza l’attuale scontro tra Robledo e Bruti Liberati, e dunque va collegata alle istituzioni delle sovranità popolare che in una democrazia sono titolari dell’indirizzo politico. Si scelga il sistema che si vuole, quello inglese, quello tedesco, quello spagnolo, quello americano ma non possiamo tenerci quel blocco corporativo giudici-pm che non per niente fu inventato dal fascismo (in Italia e in qualche misura in Portogallo).

I giudici invece devono essere assolutamente indipendenti ma non irresponsabili e anche in questo caso scegliamo il sistema di una grande democrazia liberale che preferite e sostituiamolo all’opaca realtà italiana che ha prodotto tramite la crisi della sovranità popolare quella della sovranità nazionale esponendoci indifesi a qualsiasi influenza straniera.

Mi si dirà: ma come si gestisce una transizione in una situazione che come si ricordava prima vede arresti anche di candidati a elezioni con una platea nazionale anche a pochi giorni dal voto? Si dove trovare la via per una tregua che consenta vere riforme: la tradizionale forma dell’amnistia prevista (insieme all’immunità popolare) dai padri costituenti per regolare un rapporto tra politica e magistratura che era stato mal combinato grazie alla guerra fredda è così impopolare che non passerà mai. Non possiamo pensare a forme di commutazione onerosa (o anche di indulto oneroso) della pena che diano lo spazio per fare riforme anche dure della giustizia (per esempio spostando a due i livelli di giudizio nei processi) ma combinate a una vera spoliticizzione (o a forme di politicizzazione responsabilizzata: come i district attorney americani eletti dal popolo) della magistratura?

Bisogna uscire dall’azione di emergenza – come dice giustamente Cantone – e pensare in modo sistemico (restringendo anche le improvvisazioni renzian-boschiane che non aiutano). Altrimenti la disgregazione dell’Italia annunciata dall’avanzata grillesca sarà inevitabile.

Expo, ecco la vera lezione da trarre dai casi Frigerio e Greganti

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