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Estratto di un’intervista a Francesco Rutelli contenuta nel libro “The boy” (Marsilio) di David Allegranti, giornalista del Corriere fiorentino

Il centrosinistra ha sempre avuto un problema di leadership. Si è sempre pensato che la leadership fosse «di destra» e il collettivo «di sinistra». Con Matteo Renzi questo problema viene superato?
La Sinistra, quando è stata maiuscola, ha prodotto classi dirigenti notevoli, e leader molto forti, soprattutto nel tempo di Togliatti. È vero: per giustificare l’azzoppamento di veri leader, per motivi di potere, si è successivamente usato l’argomento della prevalenza del «collettivo». Ma in quel concetto c’era soprattutto, in realtà, la prevalenza della continuità del «Partito»: Pci, Pds, Ds, Pd, come le evoluzioni di un’unica storia. Renzi, con una notevole forza e determinazione, ha prodotto discontinuità rispetto a quella lunga vicenda politica.

Secondo lei Renzi ha un problema di classe dirigente? Come risolverlo?
Certo: il problema della classe dirigente è enorme. Nel senso che è un problema che ha il Paese, e a maggior ragione ce l’ha chi lo guida. Un problema specifico di Renzi, finora, è sembrato la sua spiccata tendenza a preferire propri fedeli a personalità più impegnative da gestire. Il tempo dirà se avrà avuto ragione. Me lo auguro sinceramente.

La sconfitta del gruppo dirigente postcomunista segna l’ascesa degli eredi della tradizione Dc e post Dc?
No. Quella sconfitta epocale è stata causata dagli irreparabili errori della segreteria Bersani, che nel giro di alcuni giorni decisivi è passata dal tentativo di accordo con Grillo, all’accordo istituzionale con Berlusconi (candidato Marini), all’accordo contro Berlusconi (candidato Prodi), all’accordo politico con Berlusconi (rielezione di Napolitano e governo Letta).
Un disastro politico-strategico, direi, senza precedenti; che avevo pronosticato, senza fare troppi drammi, quando ho lasciato il Pd, che avevo contribuito a fondare. Quanto all’ascesa, direi che finora spiccano Renzi e il «renzismo», più che il gruppo degli ex Dc.

L’adesione del Pd al Pse è un errore?
Sì, una scelta veramente non condivisibile. Perché il Pd aveva promesso di «cambiare il pse». Mentre il Pse è rimasto identico (semmai senza più Blair, Schröder e alcuni maggiori leader) e si è, anzi, ulteriormente ridimensionato. In questo modo è l’orizzonte del pd che cambia, in peggio. Mi dispiace da parte di Renzi la disinvoltura di abbandonare, per Realpolitik, per un calcolo di convenienza, le promesse della fondazione, e le sue stesse posizioni: favorevoli a un Pd che si batte in Europa per fare della famiglia socialdemocratica una forza decisamente simile ai Democratici Usa, piuttosto che alla coda del socialismo novecentesco europeo. Personalmente, sono orgoglioso di testimoniare, in minoranza, sulla linea democratico-riformista-liberale-ambientalista e continuare la navigazione del Partito democratico europeo, con il mio amico Bayrou e una dozzina di altri partiti europei.

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