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Gli Usa continuano a dipendere dal petrolio mediorientale per oltre un quarto delle loro importazioni. È questo il risultato di un’analisi apparsa su Energy Trend Insider a firma Robert Rapier, esperto di questioni energetico-ambientali.

L’AUTONOMIA DEGLI USA

Rapier ha ricalcolato i dati forniti dalla Energy information administration (EIA) evidenziando una riduzione di importazioni pari a 2,2 milioni di barili al giorno dall’inizio della crisi (2008), che coincide, per buona sorte americana, con l’esplosione del boom del tight oil e dello shale gas. Su un totale di 7,7 milioni di barili al giorno importati nel 2013 il 45% proviene da Paesi Opec, con in testa l’Arabia Saudita. Il regno hashemita copriva l’anno scorso il 17,2% dell’import Usa. Sommato al 4,4% dell’Iraq e al 4,2% del Kuwait, si arriva a poco più di un quarto delle importazioni di greggio americane.

IL RUOLO DEL GOLFO

Un impatto che resta ragguardevole nonostante la riduzione su base decennale delle forniture irachene e saudite (mentre sono aumentate quelle kuwaitiane). Il riorientamento verso l’Emisfero Occidentale, con la crescita dell’import dal Canada (la cui tenuta è legata anche alla questione dell’oleodotto Keystone XL) e della Colombia non muta il dato dell’importanza del Golfo, su cui gli States hanno interesse a mantenere alta la guardia non solo per considerazioni di ordine globale ma anche per precisi interessi nazionali.

IL PETROLIO IRACHENO

La perdita dell’Iraq a causa delle violenze nel Nord del Paese, sommato alle perdite di produzione in altri punti caldi del mondo significa che il mercato petrolifero resterà in tensione nel prossimo futuro sul fronte dell’offerta e dei prezzi. Dopo la crisi in Libia, infatti, l’Iraq aveva informalmente assunto il ruolo di riserva del Golfo, a fianco all’Arabia Saudita. In un complesso gioco politico, potrebbe essere Ryhad a puntare sull’instabilità del vicino (e concorrente) Iraq, proprio mentre questo si affermava sul mercato petrolifero – coprendo il tutto con la cortina fumogena di un conflitto sunniti-sciiti per contenere l’influenza iraniana a Baghdad. Un gioco pericoloso, che intanto fa sentire i suoi effetti sui prezzi petroliferi, anche nei Paesi come Usa e Canada sempre più indipendenti dalle importazioni.

Ecco perché il petrolio del Golfo infiamma i prezzi (anche in Usa)

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