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Questo commento è stato pubblicato su La Gazzetta di Parma

Il verdetto dei ballottaggi di domenica scorsa non cambia il senso del voto europeo e amministrativo con cui, appena quindici giorni fa, quattro italiani su dieci avevano incoronato Matteo Renzi nuovo sovrano del Palazzo. Ma cancella quell’aureola di invincibilità che anche un presidente del Consiglio tuttora in regia luna di miele coi suoi cittadini farebbe male a credere di possedere: il troppo stroppia pure in politica e gli elettori, più saggi di quanto i loro eletti li considerino, hanno sempre bilanciato il trionfo del vincitore di turno con un successivo premio all’oppositore di turno.

IL CASO LIVORNO

Ne è prova Livorno, la città dove nel 1921 nacque il Partito comunista italiano e dove da sessantotto anni i sindaci che si alternavano conoscevano tutti i colori del rosso. Adesso, invece, toccherà a Filippo Nogarin, un combattivo ingegnere aerospaziale del Movimento Cinque Stelle che ha espugnato quella roccaforte con lo stesso spirito di svolta di quando Giorgio Guazzaloca del Centro-destra prese la bastiglia di Bologna nel 1999.

LA MORALE PER IL PD

Il giovane “re” Renzi è, dunque, avvertito: nessuna fiducia si conquista per sempre. E anche per il Pd c’è una morale della favola. Quello storico e fresco quaranta e oltre per cento dei consensi raccolto dalle sue liste, non è una cambiale in bianco per il Partito, ma un sollecito personale e temporale al suo leader Renzi. Tant’è che il movimento di Grillo, che gli osservatori avevano seppellito in fretta sotto i macigni del Pd alle europee, risorge dalle ceneri proprio nella città-simbolo del Pd. Livorno parla perché Firenze, la città di Renzi, intenda.

IL PARTITO DEL NON VOTO

Non è necessario scomodare la sociologia per cercare di capire che cosa sia cambiato in sole due settimane. A tal punto d’aver rafforzato, contro ogni previsione, anche il partito trasversale dei “non votanti”: mai così alto ai ballottaggi. Non il caldo né la gita fuori porta, ma il disgusto per lo scandalo di Venezia con i suoi trentacinque arresti ha contribuito sia ad allontanare molti italiani dalle urne, sia a far ritornare sui Cinque Stelle una parte di loro. Inoltre, rappresentanti del pur disfatto centro-destra alle europee, hanno avuto rivincite nelle città con le tre “p”: Padova, Perugia e Potenza.

NON SOLO PROCLAMI

C’è stato, quindi, un misto di reazione elettorale per attenuare la prospettiva ingombrante di un Pd-piglia-tutto, e per sollecitare un’azione del governo contro la corruzione dilagante sulla tratta Venezia-Milano, dal Mose all’Expo. Quell’irriverente buonsenso che l’ha fatto diventare rottamatore, dovrebbe ora suggerire a Renzi di non fermarsi ai proclami. “Io li indagherei per alto tradimento”, disse qualche giorno fa riferendosi ai politici corrotti. Bella idea: ma allora la metta in pratica. Non basta teorizzarla, perché lui non è un libero pensatore nella Repubblica di Platone, ma il presidente del Consiglio della Repubblica italiana che firma i disegni di legge e guida la maggioranza in Parlamento. Legiferare contro gli eletti del popolo che rubano il denaro del popolo, ecco che cosa esigono tanti cittadini sconcertati dalle inchieste della magistratura. Oltre al tema dell’economia, che racchiude in sé il lavoro, il fisco e la produzione, rispunta così l’antica “questione morale”. Nessun rinvio politico o legislativo sull’anti-corruzione, allora. La battaglia contro gli “alti traditori” passi dalle parole agli atti.

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