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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Cesare Maffi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi. 

Perché Matteo Renzi, uomo d’indubbie capacità nel comprendere la pubblica opinione e maestro nel lanciare progetti di ampio respiro, è andato a infognarsi in una ristrutturazione del Senato così infelice, per usare un eufemismo? Da presidente del Consiglio aveva davanti a sé una strada facile, popolare, agevole: proporre una semplicissima riforma costituzionale, per dimezzare il numero di deputati e senatori.

I VANTAGGI

Passare da 630 deputati a 315 e da 315 senatori elettivi a 150 avrebbe presentato molti vantaggi.

La gente avrebbe capito e apprezzato il calo da quasi mille parlamentari a meno di cinquecento. Sarebbero bastate due o tre righe di un disegno di legge costituzionale, con la firma del presidente del Consiglio Renzi. Si sarebbero avute difficoltà? La Camera o il Senato o entrambi avrebbero messo i bastoni fra le ruote? I capigruppo avrebbero paralizzato la discussione? Ebbene, Renzi, in prima persona, avrebbe potuto presentarsi agli elettori come il dimezzatore della casta politica, vittima della stessa casta. Lui immacolato, gli altri colpevoli.

IL COMPLESSO MECCANISMO

Ciascuno comprende quanta popolarità sarebbe potuta venirne a Renzi. Certo, non sarebbero mancate accuse di demagogia, di populismo, di corrività verso pulsioni qualunquiste e grilline, ma a Renzi non avrebbero fatto velo. Invece, è stato scelto un complesso meccanismo: riformare decine di articoli della Carta. Per di più, nel caso specifico del Senato, è difficile capire quale ragionevole motivo abbia spinto a concepire una Camera delle autonomie composta di amministratori locali, già tutti impegnati nei comuni e nelle regioni. O meglio, c’è un ragionevole motivo: procacciarsi un Senato per i due terzi schierato nel centro-sinistra.

CAMPIONE O AZZECCACARBUGLI?

Oggi Renzi si trova bloccato già alle soglie del dibattito in commissione, con slittamenti di tempi e totale incertezza su possibili (ed esiziali per il progetto del presidente del Consiglio) convergenze fra sinistra democratica, opposizioni e alleati di governo. E tutto, per non avere voluto un progetto celere, popolare, accessibile, che avrebbe fornito a Renzi ben altra stima, senz’altro diffusa. Sarebbe diventato un campione dell’antipolitica. Invece, rischia di essere etichettato come un azzeccagarbugli della politica.

Ecco il grossolano errore di Renzi sul Senato

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