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Lo aveva certificato una manciata di giorni fa un dettagliato report di Mediobanca Securities e lo ha ribadito l’altro ieri Federico Fubini su Repubblica: molte delle coperture per le misure che sono state promesse dal premier Matteo Renzi si presentano insufficienti o quantomeno incerte. Per questo, l’inquilino di Palazzo Chigi potrebbe essere tentato di finanziare l’operazione con una mossa che molti economisti considerano improvvida: l’aumento delle accise.

L’IDEA DELLE ACCISE
Il taglio degli stipendi degli alti dirigenti pubblici, la spending review del commissario Carlo Cottarelli e una sforbiciata sugli acquisti di forniture dello Stato quasi sicuramente non basteranno, nel 2014, a far quadrare i conti se si dovesse davvero dar corso a tutti i punti annunciati della Renzinomics: il taglio dell’Irpef, dell’Irap e la riduzione della bolletta energetica per le piccole imprese, solo per citarne alcuni. Alzare le tasse potrebbe essere dunque una soluzione già vista e di facile portata per il premier, che potrebbe colpire i prodotti petroliferi.

I NUMERI DEL MISE
L’effetto, però, come spiega l’associazione di categoria Assopetroli, potrebbe non essere positivo. Secondo dati del ministero dello Sviluppo economico, la crisi economica ha già pesantemente inciso sui prodotti petroliferi. Il loro consumo complessivo, nel solo 2013, ha fatto segnare una diminuzione del 5,2% rispetto all’anno precedente. Il saldo per il 2013 segna quindi una perdita di oltre 1,007 miliardi di litri pari al 21% rispetto al 2008. Un trend negativo costante, se si tiene conto che la perdita complessiva dei consumi dal 2008 al 2013, si attesta a 7,221 milioni di tonnellate pari a 9,018 miliardi di litri.

PIÙ TASSE, MENO CONSUMI, GETTITO IN CALO
Un danno produttivo, dunque, ma non solo. La congiuntura economica che si è venuta a determinare a partire dal 2008, e che tutt’ora permane, ha indotto i governi che si sono via via succeduti alla guida del Paese, ad aumentare il prelievo fiscale sui carburanti. Ma i numeri snocciolati da Assopetroli dicono che l’aumento delle accise non ha danneggiato solo gli interessi del settore, ma anche le casse dello Stato.
Sul fronte delle entrate erariali da accisa (solo nazionale) sui prodotti petroliferi, infatti, nonostante gli aumenti per sostenere il livello delle entrate, le perdite cumulate nel periodo 2008-2013 sono state complessivamente pari a 5,909 miliardi di euro.

LA DIFFERENZA CON L’EUROPA
Tutto ciò fa dell’Italia un vero esempio negativo a livello continentale. Sulla base dei dati forniti dalla Commissione di Bruxelles e dal Mise, rilanciati da Assopetroli, alla fine del 2013 la componente fiscale per la sola benzina (accise nazionali più Iva), ha raggiunto la quota del 60,7% del prezzo medio al consumo, confermando l’Italia al secondo posto nella classifica del “caro accise” dei 28 Paesi europei.
Nel solo 2013, il Governo Italiano da deliberato ulteriori aumenti di accisa sui carburanti per oltre 1.440 milioni di euro dal 1 marzo 2014 al 31 dicembre 2018.
Mentre il differenziale Sia (Stacco Italia Accise) tra l’Italia e l’Europa a 28 per quanto riguarda la benzina e il gasolio auto, alla fine del 2013, pone in evidenza che gli italiani pagano la benzina 28,2 euro cent/litro e il gasolio 26,4 euro cent/litro in più che nel resto d’Europa. Per la benzina, il prezzo italiano è più alto di 28,2 euro cent/litro, di cui ben 25,8 sono dovuti alle maggiori imposte (accise e Iva) e solo 2,4 ad un maggiore prezzo industriale mentre per il gasolio il prezzo al consumo è più alto di 26,4 euro cent/litro, di cui ben 25,3 sono dovuti alle maggiori imposte e solo 1,1 ad un maggiore prezzo industriale.

I CONSIGLI “BRITANNICI” DI AGGRADI
Assolutamente autolesionista, dunque, pensare ad altre tasse. Ma non solo: la ricetta per aumentare il gettito senza deprimere i consumi per l’associazione di categoria c’è già e proviene proprio dal Regno Unito, un Paese con cui Renzi, di recente in missione diplomatica a Londra, non ha mai nascosto di avere forti sintonie in campo economico e sociale.
Il 27 febbraio scorso, il presidente di Assopetroli, Franco Ferrari Aggradi, aveva spiegato in un’intervista a SkyTg 24 come invece un piano di riduzione delle accise, che “avrebbe immediati effetti positivi sui consumi”, ha già “un precedente in Europa e venne attuato dal governo Cameron sulla base di uno studio di Fair-Fuel Uk, che segnalava come ogni aumento del costo complessivo dei carburanti è deleterio per i posti di lavoro e il pil e per i conseguenti effetti recessivi sull’economia. Ad ogni aumento di accisa per 4 centesimi – concluse – si perdono 35mila posti di lavoro e si arriva ad una perdita economica dello 0,1% sul Pil, inversamente per una corrispondente riduzione del prezzo, agendo sulla leva fiscale, si incrementa l’occupazione di 70.000 posti di lavoro e si genera uno 0,2 % in più di pil“.

Perché è suicida la tentazione di coprire il taglio Irpef con l'aumento delle accise

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