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Pubblichiamo un articolo di Via Sarfatti 25 dell’Università Bocconi di Milano

A metà giugno in Brasile inizia il campionato mondiale di calcio e c’è da aspettarsi che l’attuale presidente, Dilma Rousseff, sia uno dei più accaniti sostenitori della squadra nazionale. Le elezioni presidenziali si terranno solo pochi mesi dopo, in ottobre; al momento i sondaggi pre-elettorali vedono la signora Rousseff come favorita e una vittoria della squadra nazionale, o almeno un piazzamento sufficientemente prestigioso da dare al brasiliano medio un certo senso di fiducia e autostima, la metterebbero probabilmente in una posizione di grande vantaggio. La signora Rousseff ha quindi ogni ragione per sperare che il Brasile vinca i Mondiali e che i brasiliani per qualche mese dimentichino le difficoltà economiche del paese e la votino di nuovo.

A tenere con il fiato sospeso la presidente ci sarà tanto quello che accade sui campi da gioco quanto quello che succederà fuori da essi: ci saranno proteste di massa oceaniche come quelle che si sono tenute in varie città brasiliane lo scorso giugno durante la Confederations Cup? E i giovani delle periferie organizzeranno dei rolezinhos – raduni improvvisi – in centri commerciali di lusso o in luoghi legati ai Mondiali? Sono domande quasi retoriche, visto che in un recente sondaggio (Cnt/Mda di febbraio) l’85% degli intervistati ha detto di aspettarsi eventi del genere.

Almeno a prima vista le ragioni che potrebbero far scattare le proteste ci sono: le enormi spese sostenute per costruire nuovi stadi, l’aumento del costo della vita o i frequenti blackout elettrici sono sotto gli occhi di tutti. L’amministrazione Rousseff da tempo cerca di spiegare ai brasiliani che le spese fatte per il Mondiale sono investimenti che porteranno benefici duraturi per l’economia e che non sono state tolte risorse al budget di istruzione e sanità, che è circa triplicato dal 2007. La realtà è però che per moltissimi brasiliani la vita negli ultimi due-tre anni è diventata più dura, che la percezione di successo e progresso del lungo decennio di crescita che iniziò circa nel 2000 si è affievolita.

Ed è purtroppo vero che la disuguaglianza nella distribuzione del reddito, pur essendo diminuita nei recenti anni di buona crescita economica, rimane una delle più alte al mondo. La domanda di migliori servizi educativi e sanitari, trasporti e abitazioni è forte proprio tra i milioni di brasiliani che negli ultimi anni sono entrati a far parte della classe media.

Anche l’andamento dell’economia è motivo di scontento. La crescita economica negli ultimi anni è stata deludente, se paragonata al 3,7% annuo del periodo 2000-2012, e il costo della vita è aumentato molto. Le spese per la Coppa del Mondo hanno contribuito all’aumento del disavanzo del bilancio pubblico, che nel 2014 è previsto al 4% del Pil, e le politiche monetarie che la banca centrale ha adottato per combattere l’inflazione hanno naturalmente un impatto negativo sulla crescita economica.

Poiché è poco probabile che venga fatta una politica fiscale restrittiva prima delle elezioni, nel 2015 la presidente Rousseff, o chi vincerà le elezioni, dovrà fare delle scelte di politica economica difficili: ridurre la spesa pubblica e/o aumentare la tassazione. Le misure di riduzione del disavanzo non aiuteranno la crescita economica, già frenata dalla politica monetaria anti-inflazionistica. La signora Rousseff deve quindi sperare fortemente che il 2014 sia per il Brasile l’anno in cui vince la Coppa del Mondo di calcio, perché gli anni successivi riservano al paese sfide molto più difficili.

Antonella Mori è ricercatrice del Dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico dell’Università Bocconi di Milano

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