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Qualsiasi novità, è cosa risaputa, comporta sempre un certo grado di inquietudine, di sussulto, di curiosità. Ai più poetici poi, ma non sarà di certo né il nostro né il vostro caso, una novità particolarmente avvolgente è in grado persino di togliere il sonno. Ecco, ci sono: il sonno. Nell’accingermi a vergare d’inchiostro, si fa per dire, questa prima pagina bianca del candore di cui solo le prime pagini sono capaci, voglio parlare di due cose che mi accompagnano costantemente da qualche tempo a questa parte: il sonno e qualche libro di economia.

Non che io sia particolarmente brillante nell’una o nell’altra cosa, intendiamoci bene, ma i saperi sanno fondersi e creare connubi talmente inaspettati, e talvolta persino così interessanti, che se non se ne parlasse si rischierebbe con ogni probabilità di perdere il sonno, di certo tormentati dall’idea di aver sottaciuto un’unione così miracolosa. Ovviamente non è questo il caso, ma qualcosa da dire l’abbiamo trovata comunque. A voler essere pignoli fino in fondo non siamo stati nemmeno noi a trovarla, ma se è vero che la conoscenza non è altro che la progressiva riscoperta di saperi già noti, possiamo permetterci il lusso di parlarne come se fosse una cosa, se non proprio nostra, con la quale abbiamo almeno un certo grado di confidenza.

Senza tirarla troppo per le lunghe e sperando che il lettore, magari invogliato dalla discussione, non stia già dormendo, possiamo finalmente addentrarci nel groviglio creato dai saperi.

Per farlo chiediamo al lettore di chiudere gli occhi e di lasciare i propri pensieri liberi di scorrere attorno alla locuzione “crisi economica”. Declino, disoccupazione, crollo dei consumi, Keynes, sfiducia, 1929: tali parole, ed altre immagini tante più colte quanto più profonda sarà la vostra capacità di abbandono, crediamo possano rappresentare con buona approssimazione i percorsi delle vostre menti. Probabilmente nessuno, forse solo quei pochi che avevano in mente il titolo, hanno pensato invece all’insonnia. Eppure qualcuno ha studiato il problema, l’ha soppesato e analizzato, ci si è addormentato sopra e infine ne ha tratto persino qualche conclusione.

Qualche giorno fa, in occasione del World Sleep Day – i perdigiorno come me sapranno sicuramente di cosa si tratta -, un’indagine condotta dalla azienda Sanofi ha riscontrato che la crisi economica è una delle maggiori cause d’insonnia per gli italiani. In particolare la paura di perdere il posto di lavoro e la frustrazione di percepire redditi inferiori a quelli dell’ante crisi sembra che siano le due principali preoccupazioni capaci di tarlare i nostri pensieri fino a tarda notte. I più arguti staranno sicuramente borbottando, magari perché appartenenti a questa categoria, che non c’era affatto bisogno delle parole di qualcun altro per inquadrare un problema così ovvio. Per questo motivo passiamo direttamente oltre per non oscurare la fine (e il fine) dell’articolo.

Ammesso pure, come molti sostengono, che la storia non sia affatto una buona consigliera né tantomeno una maestra di vita, non possiamo tuttavia ignorare il fatto che è proprio di un’indole umana mediamente evoluta fare paragoni tra situazioni diverse. E chi di noi ha sentito almeno una volta negli ultimi anni un paragone tra la crisi di oggi e quella del ’29?

Tra similarità ed elementi dissimili di varia ragione, la storia del sonno racconta una variante diversa per la crisi del 1929. È stato stimato infatti che mentre negli anni ’20 si andava a dormire in media attorno alle 23:00, dopo il crollo di Wall Street, non essendoci programmi in tv, né il calcetto, né un qualche articolo senza pretese come questo, le persone si coricavano qualche minuto prima delle 21:00 per riempire giornate faticosamente vuote. Ovviamente anch’io mi sono chiesto quale incidenza abbiano avuto queste due ore aggiuntive sul tasso di natalità, ma non è assecondando la vostra malizia che voglio concludere l’articolo.

Stasera infatti possiamo andare a letto con almeno due suggestioni in tasca o in testa, come preferite.

In primis che, almeno dal punto di vista del sonno, si stava forse relativamente meglio quando si stava peggio in senso assoluto.

In secundis se fosse vero, come dicono molti storici, che l’attuale crisi sia più acuta di quella del 1929 e che richiederà per le nostre società un periodo di degenza superiore ad allora, allora c’è poco da dormire tranquilli.

Vogliamo forse togliervi il sonno? Assolutamente no, ma consci di come sono finite le cose allora e memori delle nequizie perpetrate in alcuni Paesi europei non dovremmo addormentarci sul tema del disagio sociale nei tempi di crisi. In ultima istanza vorremmo proprio che la ragione non venga offuscata, come spesso accade, dall’oblio del sonno: questo infatti, parafrasando Goya, ha come solo ed unico effetto quello di generare mostri.

 

Insonnia e crisi economica: si stava meglio quando si stava peggio

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