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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Alberto Pasolini Zanelli apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Il palcoscenico per la riedizione della Guerra Fredda è affollato. Ci sono gli Ucraini, i Russi, i Tartari. Più, in un modo o in altro, gli Americani, i Francesi, gli Inglesi, i Tedeschi, i Polacchi. La crisi nata a Kiev e che si è acutizzata in Crimea ha molti padri, ma un solo «ritratto», almeno ufficiale.

Mezzo mondo la battezza con un nome che simboleggia la morte del Dopoguerra Freddo: Zar Putin. Scivoliamo un po’ tutti nella facile tentazione di chiamarlo così, anche perché è difficile trovargli un progenitore politico più adatto. Ci hanno provato con Stalin, ma non attacca. Gorbaciov è troppo complesso, Boris Eltsin era troppo accomodante, «liberale» e stanco. Putin e’ il contrario, in tutti i sensi. Irraggia vitalità.

 LE GESTA DI PUTIN

È freneticamente macho. Cavalca senza sella, ha meritato una cintura nera di judo, ha provato a guidare un bolide della Formula Uno, si misura con le gang dei motociclisti, grosse cilindrate: ci è andato anche fino in Ucraina, in tempi più tranquilli. Pattina con quelli delle squadre di hockey, ha sciato in tutta l’Europa, compresa l’Austria, nel momento in cui gli altri Paesi boicottavano le sue piste perché a Vienna c’era un governo troppo di destra, e poi nel Caucaso. Fa pesca d’alto mare come un personaggio di Hemingway, solo che le balene le prende di mira con l’arco e le frecce. Un paio di volte ci si è tuffato, nel mare, alla ricerca di anfore millenarie e altri tesori sommersi.

PUTIN ALLE PRESE CON LE ARMI

Ci sa fare anche con le armi: era capo del Kgb nella Germania comunista,, il giorno in cui quel regime spirò sotto le macerie del muro di Berlino. Era a Dresda e una folla festante invase e devastò la sede dei colleghi della Stasi e minacciò di infilarsi anche nel suo ufficio. Vladimir Putin indossò i panni di James Bond: uscì solo con la pistola in mano e disse alla gente: «Ue’, qui dentro è Urss». L’Urss morì due anni dopo, il Kgb fu sciolto, lui tornò a casa disoccupato, pochi mesi dopo era vicerettore dell’Università dell’allora Leningrado, poi entrò nella giunta comunale e collaborò a ripristinarne il nome di San Pietroburgo e a far costruire, proprio di fronte al vecchio ufficio della polizia segreta in via Robespierre, un monumento alle vittime del Terrore.

SCOMODO E INQUIETANTE

Non ha cambiato carattere, continua ad essere scomodo e inquietante, soprattutto agli occhi di Washington, dove lo vedono come il perturbatore massimo della pax americana e solo a sentirlo nominare sentono rinascere quel vecchio prurito della Guerra Fredda. Con qualche eccezione: anche a Washington c’è qualcuno che lo ama, gente di estrema destra come Pat Buchanan, che ai tempi di Reagan era «capo delle comunicazioni» della Casa Bianca e lo considera un «fratello» nella lotta «per la difesa dei valori cristiani che costituiscono la base della civiltà occidentale». E’ arrivato a definire Putin «uno di noi», un leader della Destra Morale. Il resto del mondo lo ricorda nei panni del Kgb e lo sospetta per questo di nostalgie comuniste. ha definito una volta «la peggiore catastrofe» la disintegrazione dell’Unione Sovietica, non per rimpianti per quel regime ma perche’ annuncio’il declino della potenza russa nell’ambito di un pianeta «bipolare».

UN’INTERVISTA CINICA

Lo ha spiegato in una intervista cinica e probabilmente veritiera: «Nostalgico dell’Urss? Chi non la prova, è senza cuore, chi la prova, è senza cervello». Contatti di famiglia con l’Unione Sovietica? Sì: uno dei suoi nonni fece il cuoco per Lenin. Niente di male, anche il nonno nero di Barack Obama preparava i pasti per gli ufficiali inglesi al tempo dell’Impero delle Indie.

LA NOSTALGIA DELLA GRANDE RUSSIA

Una cosa Putin certamente è: nazionalista, orgogliosamente tale, nostalgico della grande Russia, senza altri aggettivi e ideologie. Se riconosce un eroe nel passato, è lo Zar Pietro, e lo ha fatto celebrare nello spettacolo inaugurale delle Olimpiadi di Sochi. Pietro il Grande: tirò fuori la Russia, tre secoli fa, dal medioevo e costruì San Pietroburgo, finestra sull’Occidente. Putin ci nacque quando si chiamava Leningrado. Per questo il «suo» esercito ha conservato la bandiera rossa con la falce e il martello, perché era quella che i vincitori piantarono sulle macerie di Berlino nel 1945. Sulla Marina sventola però, anche ora che pattuglia il Mar Nero, davanti a Sebastopoli, la bandiera disegnata da Pietro il Grande. E il palazzo dove Putin abita demtro il Cremlino ostenta un vessillo con l’aquila zarista. E l’inno nazionale è tornato quello dei tempi di Lenin e di Stalin, solo con un testo completamente nuovo e ideologicamente opposto, pieno di riferimenti alla Patria e a Dio. Chi va contro i Comandamenti lui lo definisce pari pari «servo di Satana».

Ecco chi è, e cosa pensa, il vero Putin

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