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Alla fine ha vinto il partito dello sciopero (per ora). La Rai lo ha proclamato per l’11 giugno, contro il prelievo annunciato dal governo Renzi, ma a favore del premier c’è che i sindacati sono spaccati. “Vogliono fare lo sciopero? Bene, poi però vediamo quanto costaneo le sedi regionali”, questa la secca replica di Matteo.

SINDACATI SPACCATI

La leader Cgil Susanna Camusso e il leader Uil Luigi Angeletti proseguono sulla linea dura, mentre la Cisl ha preso le distanze, preferendo riflettere sulla dichiarazione di illegittimità del Garante perché questo sciopero non rispetta “l’intervallo di dieci giorni” con quello “del sindacato Usb previsto per il 19 giugno e precedentemente comunicato”.
“Non dobbiamo trasformare questa vertenza – ha detto il segretario della Cisl Raffaele Bonanni – in un inutile braccio di ferro dal sapore politico con il governo”. La politica, già, di cui la Rai, tv di Stato e delle lobby, è intrisa fin nel midollo. Ma che oggi volta le spalle al colosso dai piedi di argilla.
“Questo decreto la mette a rischio nella dimensione di servizio pubblico e di grande impresa del Paese”, ha detto Camusso. “È grave – prosegue riferendosi al premier Renzi – che si definisca umiliante uno sciopero”. Ancora più duro Angeletti: “Renzi si comporta come un pessimo amministratore delegato dell’azienda pubblica Rai – afferma – Questa volta ha preso una cantonata. Il taglio dei 150 milioni è un pizzo chiesto all’azienda”. Intanto anche l’Usigrai sembra pronta a defilarsi.

IL TAGLIO E I PRIVILEGI

A scatenare questa guerra intestina è quanto confermato due giorni fa in Commissione Bilancio al Senato: taglio di 150 milioni a carico della tv pubblica, insieme alla possibilità di cedere quote di Rai Way e di dismettere Rai World, a compensazione del sacrificio monetario. Invece è stato ammorbidito il comma sulle sedi regionali: non più l’abrogazione di una sede in ogni regione previsto dalla legge Gasparri, ma una formulazione che prevede redazioni e strutture adeguate in ogni regione, lasciando comunque all’azienda libertà organizzativa. La tv pubblica è stata inoltre esclusa dai tagli previsti in generale per le società partecipate.

LA RIFORMA IN MANO A GIACOMELLI

Il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, è intanto al lavoro sulla riforma della tv pubblica, nel tentativo di arrivare entro l’anno a nuove regole sul canone e all’avvio della discussione sul rinnovo della concessione che scade nel 2016. Oggi il presidente Rai, Anna Maria Tarantola e i membri del cda saranno ascoltati in Commissione di Vigilanza sulla spending review.

E NEL REGNO UNITO…

Mentre a Roma la Rai è in fibrillazione – senza che siano previsti peraltro tagli di personale – a Londra la Bbc si appresta a licenziare 600 dei suoi residui ottomila dipendenti, giornalisti e tecnici, dopo i 215 tagliati dal 2012 per far fronte al piano di riduzione die costi da circa un miliardo di euro per il 2016 e il 2017. Il sindacato dei giornalisti britannici ha definito “ignobile” l’operazione partita dal congelamento del canone, l’unica ed esclusiva risorsa dalla Bbc, che non può trasmettere pubblicità a differenza della Rai.

IL NODO RAI WAY 

Ma non è solo lo smacco di quella che Angeletti ha definito una tangente del governo alla Rai. Anche la cessione di Ray Way non convince tutti “Ray Way – scrive Stefano Cuppi sul Corriere delle Comunicazioni– è un asset strategico della mano pubblica ma, dopo un decennio di ibernazione, corre l’obbligo di esplicitare una strategia. La Rai è uscita con le ossa rotte da un decennio di asservimento agli interessi dell’azienda dell’ex Presidente del consiglio (Mediaset, ndr), ma son già due anni che ha un nuovo Cda ed un nuovo Direttore Generale. Fin dal suo insediamento Gubitosi ha soppesato il dossier Rai Way, interloquendo con diversi soggetti, poi ha preferito soprassedere”. Ma ora “la sua valorizzazione non è più rinviabile. La separazione fra reti e contenuti nella televisione digitale è un processo incontrovertibile. Lo scorporo della rete trasmissiva e delle torri risponde ad una logica industriale e di sistema”.
In pista per fare lo shopping della società che si occupa delle torri di trasmissione ci potrebbe essere il Fondo Strategico Italiano (Cdp): la plusvalenza che la Rai ne ricaverebbe “compenserebbe essa sola la riduzione dei trasferimenti per 150 milioni (una tantum) previsti per il 2014, senza intaccare quindi i ricavi da cessione di quote”.

CONTI DA RIFARE?

Con questa cessione, in un sol colpo l’effetto sui conti paventato da Gubitosi a seguito del prelievo milionario, sarebbe annullato. Pareggio nel 2014 e utile nel 2015 non saranno invece raggiungibili se la cessione non dovesse concretizzarsi.

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