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“La reputazione dell’armata in guerra è tutto ed equivale alle forze reali”
(Napoleone)

In principio fu Mario Monti, che sostituì Berlusconi a Palazzo Chigi dopo che lo spread aveva raggiunto la quota record di 574 punti base. Da allora, 9 novembre 2011, sono passati 833 giorni: e in ognuno di questi si è parlato di spread associato alla parola stabilità.

Citando a caso, lo scorso agosto il premier Letta diceva che “lo spread ai minimi è figlio della stabilità”, mentre pochi giorni dopo, il 9 settembre 2013, rispondeva “ci vuole stabilità” a chi chiedeva lumi sul nuovo aumento del differenziale. A fine mese, il Ministro Saccomanni affermava che “spread a quota 100 e più stabilità valgono 10 miliardi”, mentre ancora di recente, il 3 gennaio 2014, il Ministro Lupi commentava la discesa sotto i 200 punti affermando che “la stabilità paga”.

Insomma, tutti d’accordo nel ritenere che la stabilità sia fondamentale per avere uno spread basso. Tranne Berlusconi, secondo il quale “la stabilità è un imbroglio come lo spread”, ma lui è di parte visto che sul punto si è giocato Palazzo Chigi.

Tutti d’accordo, fino al momento in cui Renzi fa cadere il governo Letta, mandando in frantumi la stabilità faticosamente costruita negli ultimi 10 mesi, e lo spread, invece di impennarsi come vorrebbe la “famosa” Legge sul Differenziale della Stabilità, cala ai minimi dal 2006. Dal 2006, cioè dal periodo di luna di miele dell’ultimo governo Prodi.

Che succede allora? I mercati stanno sperimentando una sorta di effetto-Renzi anticipato, convinti della sostanziale continuità con il governo precedente. O, magari, la verità è che dovremmo mettere in discussione il mito della stabilità e cominciare a ragionare sul fatto che certe dinamiche rispondono forse a logiche differenti?

Io credo valga la pena almeno esplorare questa “labile” ipotesi. E se la risposta dovesse essere che lo spread, come più in generale le manovre sul debito dei Paesi europei, risponde a logiche che poco hanno a che vedere con la stabilità politica, forse sarebbe il caso di provare a mettere in campo nuovi strumenti di governo e di sviluppo.

Uno di questi potrebbe essere, finalmente, la creazione di un’agenzia di rating europea. È un’ipotesi di cui si discute già da tempo e sarebbe anche il momento di passare dalle parole ai fatti. Un’agenzia indipendente, con regole stringenti su vigilanza e possibili conflitti di interesse, che possa credibilmente contrastare il “sistema americano” della triade S&P-Moody’s-Fitch.

Le vere valutazioni sono quelle su cui si possono fare misurazioni reali e confrontabili fra soggetti “veramente” indipendenti. L’agenzia di rating europea potrebbe essere il sistema per far tornare lo spread al suo vero ruolo: una questione di vera reputazione sottratta alla speculazione politica o finanziaria.

Ed i governi delle nazioni ad occuparsi di politica e di cittadini invece che di demagogia.

Spread, non serve stabilità ma un'agenzia di rating europea

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