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Quante volte ci viene raccontato dalla stampa che “la lobby” dei banchieri, della finanza, delle multinazionali, della farmaceutica (mi fermo qui, ma l’elenco potrebbe continuare a lungo) hanno ostacolato una legge o imposto una scelta a governi e parlamenti? Continuamente. La retorica dei “poteri forti” è talmente radicata da convincere non solo gli elettori, ma gli stessi eletti, che di tanto in tanto se la prendono, appunto, con “le lobby”.

Naturalmente alzando di poco il piano di riflessione, spostandoci cioè in ambito accademico, questa teoria è stata sempre smentita. Fiumi di inchiostro e tonnellate di pagine per spiegare che, no, nei regimi democratici i poteri forti non esistono (prima teoria negazionista). Oppure esistono, ma non contano tanto quanto vorrebbe far credere la stampa (seconda teoria negazionista). Addirittura (terza teoria negazionista) c’è chi sostiene che in realtà conti molto di più la forza d’urto della società civile che quella degli agglomerati di potere. Per cui, in sostanza, secondo professori e compagnia “le lobby” come ci vengono raccontate non esistono.

Tutto questo accadeva fino a ieri. Fino a quando cioè due accademici statunitensi di primo piano (Marty Gilens da Princeton e Benjamin Page dalla Northwestern) sono arrivati a dimostrare proprio il contrario di quanto sostenuto da tanti eminenti colleghi prima di loro. Gilens e Page hanno esaminato 1179 temi di politica pubblica emersi nel dibattito americano tra il 1881 e il 2002. Lo scopo era verificare quanti e quali di questi temi era stato “influenzato” dal supporto dell’opinione pubblica (i cittadini morti di fame) e quanti, invece, dalle scelte dei ricchi (le élites).

Beh, l’esito della ricerca è sorprendente. Guardate i 3 grafici qui sotto. Il primo mostra l’incidenza dell’opinione pubblica sulla probabilità che il Congresso o il governo Usa adottino una decisione. Come vedete la linea resta orizzontale. Segno che più cittadini favorevoli alla decisione X, non significa che la decisione X verrà presa con maggiore probabilità. Il secondo grafico mostra invece l’influenza dei poteri economici forti. La linea qui si impenna: cioè maggiore è l’interesse delle élites per una decisione pubblica, maggiori sono le probabilità che venga adottata. Il terzo grafico capovolge la prospettiva: dice cioè quanto è improbabile che una decisione pubblica venga adottata se i gruppi di interesse (intesi sempre come agglomerati di potere economico) non vogliono che venga adottata.

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Qui, se vi interessa, c’è il paper completo di Giles e Page.

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