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De Luca e Scognamiglio non sono una Manna per Renzi

L’unica certezza, a proposito del nuovo caso giudiziario e politico scoppiato attorno al governatore della Campania, Vincenzo De Luca, è la impossibilità di mettere l’interessato in una lucida campana di vetro, come lo ha invece immaginato, sia pure con spirito satirico, Giannelli nella vignetta di prima pagina del Corriere della Sera.

Non c’è vetro, neppure blindato, che possa resistere alle martellate non delle Procure, non dei giornali, non degli avversari politici in senso lato e stretto, ma dello stesso De Luca. Che, seduto spavaldo sulla sua poltrona di governatore, raccoglie e rilancia le sfide con grida, smorfie e qualche volta anche argomenti che da soli sfondano quel vetro per il rumore che sono capaci di creare. Cioè per l’entusiasmo che procurano ai suoi sostenitori, convinti di avere a che fare con un superman, e per lo sconcerto dei suoi avversari, che moltiplicano i loro attacchi, anch’essi così deflagranti da sconquassare ulteriormente quella povera campana immaginata dal vignettista del maggiore giornale italiano. O di uno dei maggiori, visto che Repubblica vanta con gli ultimi dati di avere eseguito il sorpasso.

La capacità di De Luca di dare spettacolo è indubbia. Se fosse ancora vivo il grandissimo Totò, potrebbe arrivare a invidiarlo. C’è solo l’imbarazzo della scelta fra l’originale, nel quale lo si è visto e sentito in questi giorni, e le vecchie imitazioni del bravissimo Maurizio Crozza, destinate a sicuro aggiornamento.

E’ obiettivamente imperdibile quel greco scandito da don Vincenzo, come De Luca viene rispettosamente chiamato dai suoi elettori, per riconoscersi nella massima di Eraclito sul carattere inteso come demone dell’uomo, tradotto anche da lui in italiano dicendo che il carattere di un uomo è il suo destino. Per cui egli rimane sempre all’attacco, specie quando si sente “parte lesa”, come in questo caso, si vedrà se a ragione o a torto.

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Le “ipotesi” di reato per cui De Luca si trova indagato dalla Procura di Roma, competente per casi in cui sono coinvolti magistrati in attività a Napoli, sono state definite da uno che di sicuro se ne intende, come il togatissimo Carlo Nordio, “tecnicamente incompatibili”: corruzione e concussione per induzione. Il procedimento sembra dunque destinato ad una certa lunghezza, per quanto da tutte le parti si reclami la solita rapidità, e a mille polemiche. Ma sono già bastate e avanzate quelle emerse nelle prime 48 ore per rimanere esterrefatti di ciò che può accadere sia in politica sia in magistratura.

In politica, come si è affrettato ad osservare con la solita arguzia e competenza il mio vecchio amico Emanuele Macaluso, a lungo dirigente di quello che fu il Pci, e compagno quindi di militanza politica di De Luca, nessuno potrà mai riuscire a far credere alla casualità del fatto che il capo della segreteria, o come si chiama, del governatore della Campania abbia potuto essere contemporaneamente vice segretario regionale e responsabile dell’organizzazione del partito. E che si sia dimesso davvero per stanchezza, o solo per stanchezza, dal ruolo di collaboratore De Luca, dopo che era stato coinvolto nelle indagini sulla presunta corruzione o concussione per induzione, con tanto di avvisi e perquisizioni. Cerchiamo di essere seri e di non esagerare con il pur divertente teatro che il governatore della Campania riesce ad allestire rapidamente con le sue scoppiettanti conferenze stampa, ogni volta che vi è indotto dagli avvenimenti o dalle polemiche che lo investono.

Accadono nella periferia del partito, per fermarsi a Napoli dopo quello che è scoppiato e un po’ è ancora aperto a Roma attorno alla tragicomica vicenda dell’ex sindaco Ignazio Marino, cose delle quali il segretario nazionale Matteo Renzi dovrebbe occuparsi più direttamente e seriamente, per quanto egli abbia già tante cose da fare come presidente del Consiglio.

Il cumulo delle due cariche, per quanto rivelatosi sfortunato già nella cosiddetta prima Repubblica, con le esperienze, per esempio, di Amintore Fanfani e di Ciriaco De Mita, entrambe finite male, lo ha voluto e lo vuole lo stesso Renzi, al riparo di uno statuto di partito che sicuramente glielo consente. Ma è un cumulo molto oneroso, cui non sempre si può pensare di rimediare nel partito con il sistema delle deleghe, permanenti o straordinarie che possano essere.

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A livello di magistratura, vista anche la solita insofferenza, diciamo pure permalosità, dei dirigenti sindacali della categoria di fronte alle critiche che raggiungono le toghe, o che le toghe stesse si scambiano fra di loro, è a dir poco sconcertante la rappresentazione, già emersa dalle indagini, della giudice Anna Scognamiglio, relatrice di una sentenza civile favorevole alla permanenza di De Luca alla guida del governo regionale della Campania, che annuncia di vivere da separata dal marito. Al quale però annuncia per telefono la notizia della decisione  appena adottata a favore del governatore. La cui segreteria è messa immediatamente al corrente del fatto con un messaggino dal marito dalla giudice, Guglielmo Manna,  aspirante a sua volta ad un avanzamento di carriera nel campo sanitario di competenza regionale.

Questa vicenda, peraltro seguita a quella della giudice di Palermo rimossa per la remuneratissima gestione di carattere familiare dei beni sequestrati alla mafia, non contribuisce di certo a fare recuperare alla magistratura quel credito che le è stato di recente rimproverato di avere perduto persino dal presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelski. Il cui monito è purtroppo caduto nel singolare silenzio, o distrazione, della cosiddetta grande stampa.

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