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Che cosa insegna la strage di Parigi

L’aspetto più inquietante e ancora sottovalutato nella tragedia di Parigi è la molteplicità di obiettivi quasi simultanei tra cui uno con la presenza del presidente francese. Un attacco di questo tipo prevede una preparazione logistica complicata e dimostra per la complessità e l’aumento del rischio di essere scoperti l’inefficacia dei servizi francesi.

L’altro dato è l’evidenza che le dichiarazioni dell’Isis contro l’interventismo di François Hollande sono frutto del calcolo che il fenomeno terrorismo ha in Francia una dimensione di possibili recettori nell’humus delle banlieu e della numerosa comunità islamica. Purtroppo l’indeterminatezza della politica americana rende debole ogni risposta occidentale. L’Europa deve pretendere una svolta americana. Non bisogna dimenticare come mentre qualcuno ci fa la guerra, gli Usa, sicuramente ignoranti di Sun Tzu, cerchino di moltiplicare nemici veri, presunti e di comodo.

Il povero segretario di Stato americano John Kerry negli ultimi tre anni ha cercato di rappezzare un quadro dilaniato dai risultati della primavera araba, dagli embarghi e dai missili contro la Russia, dal dilagare della Cina in Africa, dal doppiogiochismo sunnita fino all’atteggiamento che vede Bashar al-Assad nemico che deve collaborare contro lsis o l’Iran essere una specie di Paese del male salvo venire utile contro il jihadismo sunnita.

Spero che la risposta occidentale preveda inizialmente una sorta di catarsi mentale che chiarisca una valutazione più meditata e responsabile dei pericoli, dei rischi, delle conseguenze compreso il livello di emergenza. Le elezioni americane sono alle porte, ma non c’è tempo. Ci vorrebbe forse una Condoleeza Rice.

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