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Ecco come la Francia ha reagito militarmente alla strage di Isis

Una decina di caccia francesi hanno lanciato nella serata di domenica circa trenta attacchi aerei su Raqqa, in Siria. Si tratta del più intenso (per durata e potenza di fuoco) bombardamento contro quella che è la “capitale” de facto dello Stato islamico, da quando sono iniziate le operazioni militari per bloccare l’avanzata del sedicente Califfato. Il presidente francese François Hollande lo aveva annunciato subito dopo l’attacco terroristico a Parigi rivendicato proprio dall’Isis: “La reazione sarà impietosa”.

Sono stati colpiti due campi di addestramento dei drappi neri e alcuni depositi di armi e munizioni. Il Wall Street Journal cita fonti americane e segnala che sarebbe stata proprio l’intelligence di Washington a fornire alcune informazioni sui possibili obiettivi dell’attacco aereo, da aggiungere a quelli già “segnati” dai voli di ricognizione con cui gli aerei francesi da metà settembre e per tutto ottobre hanno raccolto dati sui target; la Francia aveva annunciato la volontà di avviare attacchi aerei in Siria a fine estate, ma i primi airtstrike sono arrivati soltanto a fine ottobre. La Francia resta l’unico Paese europeo che ha preso la decisione di espandere al territorio siriano le operazioni anti Isis.

BOMBE E SONDAGGI

Il governo di Parigi cavalca una propria vocazione militarista contro il terrorismo, vista non solo in Iraq e Siria, ma anche nel Sahel, al di là del sentimento di reazione e rappresaglia. Ma quella vocazione si sposa bene, comunque, con l’opinione pubblica: il Journal du Dimanche a metà settembre aveva fatto un sondaggio secondo cui oltre la metà dei cittadini francesi sarebbero stati favorevoli all’invio di forze di terra in Siria contro il “Califfato”. Una percentuale molto alta, che è arrivata molto prima degli attentati di venerdì contro la capitale.

STRATEGIE ANTI TERRORISMO (FRANCESI E GLOBALI)

La situazione siriana contrappone da un lato il sentimento di chi opera sul campo, frustrato perché nonostante le attività siano iniziate da oltre un anno il “Califfato” non mostra sensibili segni di degradazione (“degradare” è la parola che usò Barack Obama per definire l’obiettivo della coalizione anti Isis), dall’altro i vertici militari che devono seguire le direttive politiche e diplomatiche e dunque “evitare il più possibile il coinvolgimento”, mentre in un terzo cantone c’è l’opinione pubblica, che semplifica e si chiede come mai “radere al suolo” alcune parti della Siria non sia attuabile.

Quando pochi giorni fa un drone americano ha colpito il boia mediatico del Califfato, Jihadi John, lo ha fatto in una via molto vicina al quartier generale dello Stato islamico a Raqqa: il Guardian, che ha pubblicato un’immagine aerea dei luoghi di quell’attacco, ha visto investire il proprio articolo di commenti di lettori che si chiedevano come mai viene colpita chirurgicamente l’auto del jihadista, seguito e tracciato dai satelliti e dagli occhi dei droni, e non venga riservato trattamento analogo al HQ del “califfo”.

Raqqa è piena di civili terrorizzati

Raqqa però è una città siriana con una popolazione di oltre 220 mila persone (il dato è del 2012, è probabile che adesso, con l’arrivo dell’Isis si sia ridotta): sono civili e molti di questi vivono in condizioni di terrore, oppressi, spaventati delle possibili ripercussioni al punto di non riuscire a fuggire. L’opzione “hit reset” è improponibile, dunque, perché il rischio di vittime civili è elevatissimo.

Il grosso della campagna propagandistica orchestrata dal “Califfato” nei giorni precedenti all’azione di Parigi verteva proprio su immagini di bambini uccisi, che secondo i media dell’Isis erano stati colpiti dalle bombe francesi. Una possibilità non del tutto da escludere; mentre per quanto riguarda i bombardamenti di ieri sera, gli attivisti siriani hanno già fatto sapere che non ci sono stati vittime civili.

Forze speciali più raid è una soluzione possibile 

Invece, secondo diversi analisti, appare più cavalcabile l’invio di forze speciali da affiancare in modalità operativa (cioè “combat” e non solo come consulenti) ai gruppi che si sono messi in armi contro il “Califfato”: è quello che hanno fatto gli americani nel nord siriano, dove una coalizione ribelle dovrebbe dirigersi proprio verso Raqqa con il tentativo di accerchiare la città, isolarla, degradare le sue linee di alimentazione e riconquistarla.

HUMAN INTELLIGENCE E COORDINAMENTO

L’altro aspetto fondamentale per fronteggiare le derive del Califfato è la prevenzione: mentre la polizia francese concentra la sua caccia all’uomo su Abdeslam Salah (26 anni, francese ma residente a Molenbeek, il sobborgo di Bruxelles rivelatosi la base della cellula) che sarebbe l’unico sopravvissuto dell’attacco, nella notte scorsa è iniziata insieme ai raid su Raqqa una grossa operazione antiterrorismo condotta dalla polizia francese sul proprio territorio. Arresti di decine di persone tra Tolosa, Grenoble, e Lione, dove è stato rinvenuto un vero e proprio arsenale (armi leggere, esplosivo, un lanciarazzi). Il primo ministro Manuel Valls ha parlato di “oltre 150 perquisizioni”: queste attività sono possibili soltanto attraverso l’uso della HumInt, l’intelligence basata sulle risorse umane, integrata alle forze di polizia, ha spiegato su Formiche.net il generale Luciano Piacentini. Un’operazione che abbina alla tecnica anche la volontà politica. Hollande, che oggi parlerà ai parlamentari riuniti in un’assemblea straordinaria a Versailles, ha annunciato la volontà di chiedere il prolungamento dello stato di emergenza altri tre mesi: così i prefetti avranno “mani più libere” a livello operativo. In più Valls ha premesso che diverse moschee radicali saranno chiuse.

DAGLI USA

A questo andrebbe aggiunta una continua attività di contro propaganda, come proposto dal senatore Marco Rubio. Per molti osservatori, quella di Rubio è l’unica proposta concreta nelle dichiarazioni difensive e offensive che stanno caratterizzando il dibattito tra i candidati alla Casa Bianca sul tema “Isis”, sottolinea Gianluca Di Tommaso su Wired Italia. Soltanto l’8% dell’opinione pubblica americana crede che il terrorismo debba essere un argomento prioritario nella campagna elettorale: il dato del sondaggio NBC/WSJ potrebbe cambiare dopo i fatti di Parigi, ma difficilmente raggiungerà le percentuali francesi, visto il logoramento e la frustrazione prodotti nel pensiero comune americano dopo anni di impegno militare non sempre considerato proficuo.

Possibili altri obiettivi “colpiti come Parigi”

Il premier francese dice che il terrorismo può colpire ancora, e non solo il suo Paese: “Sapevamo che c’erano operazioni in preparazione e che ci sono operazioni in preparazione non solo contro la Francia”. Un messaggio a cui chiede di far seguito con un’importante coordinamento di counter terrorism a livello europeo ed internazionale (attività vista già nelle ultime ore, con gli americani che hanno passato quelle informazioni per i raid su Raqqa ai francesi). Una bozza di accordo chiuso al G20 di Antalya, in Turchia, che Bloomberg ha anticipato, prevede proprio una maggiore collaborazione in chiave di prevenzione del terrorismo.

Le rivelazioni irachene

Intanto le prime indagini confermano che ci sarebbe effettivamente una regia diretta dalla Siria dietro all’attacco di venerdì. Associated Press cita fonti dell’intelligence irachena che dicono che il gruppo era composto da 19 membri operativi più cinque che si sono occupati della logistica. La cellula, appositamente scelta, si sarebbe addestrata con l’obiettivo dell’attentato in un training camp come quelli centrati dai missili francesi domenica sera. Questo è ciò che esce dagli iracheni, anche se l’affidabilità di Baghdad è stata in alcuni casi discutibile: il ministro degli Esteri Ibrahim al-Jaafari, ha anche detto ai giornalisti presenti al vertice sulla Siria di Vienna, che i servizi segreti iracheni avevano ottenuto delle informazioni secondo cui alcuni Paesi potevano essere presi di mira, tra questi proprio la Francia, gli Stati Uniti e l’Iran, e avevano condiviso info di intelligence con loro.

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