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Parigi, Bamako e la gara della blasfemia jihadista

Da Parigi a Bamako la strada è breve. Molto più breve di quanto indichino le carte geografiche. E’ una lunga striscia di dolore che si percorre con il pensiero e con le lacrime. Nella capitale francese il crepitio dei kalashnikov si mescola al rumoroso suono heavy metal del Bataclan; in quella maliana alle dolcissime note della kora ed alle struggenti interpretazioni di Roika Traoré, Toumani Diabaté, Amadou e Mariem. Non c’è più gioia nelle strade di Parigi; si sono spenti i sorrisi in quelle di Bamako. I resti di una lugubre danza di morte segnano il passaggio della barbarie nelle due città.+

Importa fino ad un certo punto la paternità delle stragi. Isis-Daesh o Al Qaeda ed affiliati non cambia molto. I signori del terrore fanno a gara, sembra, per vincere lo sporco trofeo della blasfemia islamista. In Africa le legioni del defunto Bin Laden competono con quelle di Abu Bakr al-Baghdadi che come campo ha scelto il Medio Oriente e l’Europa. Nella speciale classifica delle infamie non sappiamo ancora a chi vada provvisoriamente il primato.

A Bamako, con la strage all’hotel Radisson, i seguaci o, per meglio dire, gli eredi del terrorista saudita, hanno messo a segno un importante punto. L’attacco, infatti, sembra sia stato portato dal network jihadista Ansar Dine, ma anche i jihadisti di al Mourabitoun hanno rivendicato sul loro account twitter la sanguinosa impresa. Questo gruppo, accreditato come il più organizzato nella galassia africana islamista, è stato fondato da Mokhtar Belmokhtar, ex comandante di al Qaeda nel Maghreb che recentemente, secondo alcune fonti, si sarebbe unito all’Isis, ma l’interessato ha prontamente smentito avendo l’ambizione di proporsi come l’antagonista principale al Califfo di Raqqa.

François Hollande, infatti, ha avvertito che l’Isis considera la Francia nemica perché Parigi è intervenuta in Mali. In un discorso pubblico, il presidente francese ha ricordato che nel 2013 la Francia ha aiutato il Mali, ottenendo una “vittoria”: i “terroristi lo sanno per questo ci considerano nemici”. “I terroristi nel 2012 si sono accaniti contro la cultura del Mali”, “imposto divieti, le donne sono state sottomesse”: “la Francia ha dovuto prendersi le sue responsabilità e portare avanti azioni importanti”.

In effetti, la crisi politica che a lungo si trascinava, dopo l’indipendenza del Mali nel 1960, nell’aprile del 2012 si aggravò: il crollo del potere statale nel nord del Paese offrì l’opportunità, da tempo immemorabile perseguita, al movimento tuareg, laico e separatista, di Liberazione dell’Azawad (MNLA), regione da sempre contesa, di conquistare il controllo delle principali città e di dichiarare unilateralmente la sua indipendenza, mai riconosciuta da nessuno. Un sogno che durò pochi mesi, fino a quando i gruppi tuareg furono sgominati da tre organizzazioni islamiste: Ansar Dine, MUJAO (Movimento per l’Unicità e il Jihad nell’Africa Occidentale), e al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM). Questi movimenti tentarono di introdurre un governo basato su una rigorosa interpretazione della sharia nelle zone da loro controllate, arrivando al punto di imporre tali sanzioni come tagliare le mani per le accuse di furto, imporre alle donne di indossare l’hijab in pubblico, e separare i ragazzi e le ragazze a scuola.

Dal dicembre 2012 ripreso gli scontri dei gruppi islamisti contro le forze armate del Mali. I ribelli cercarono invadere il sud, espugnando Konna, importante e strategico centro economico e politico, e minacciando Bamako. Coerenti con la loro blasfemia ed iconoclastia, distrussero, non diversamente da quanto i loro omologhi avevano fatto in Afghanistan ed avrebbero poi attuato in Iraq, numerose reliquie della tradizione sufi e profanarono le tombe di alcuni santi musulmani (tra cui l’antico mausoleo dedicato ad Alpha Moya, e quelli di Sidi Mahmud, Sidi el-Mukhtar, Sidi Elmety, Mahamane Elmety e Shaykh Sidi Amar),

Nel disinteresse internazionale e nonostante una risoluzione dell’Onu che approvava un piano di intervento militare, il Mali veniva percepito da tutti come una nazione perduta, finita nelle mani dei jihadisti. Soltanto nel gennaio del 2013 Hollande, al fine di salvaguardare gli interessi francesi nel Paese e nell’area che rischiava il “contagio” islamista, diede il via alla “Opération Serval”, un’operazione di aiuto militare e logistico alle forze del governo maliano. A seguito dei raid aerei portati dall’aviazione francese, la capitale Bamako, già quasi tutta nelle mani degli islamisti, venne riconquistata dal governo legittimo.

A cose fatte, si potrebbe dire, subito dopo, in ossequio alla risoluzione dell’Onu, anche Spagna, Regno Unito, Danimarca, Belgio, Canada, Italia, Stati Uniti e Germania diedero i loro aiuto per addestrare l’esercito maliano. Quindi l’aviazione francese distrusse la sede di al-Qaeda nel Maghreb islamico a Timbuctu e la coalizione franco-maliana si riprese Gao, a sud dell’Azawad, caduta nelle mani degli islamisti. In pochi giorni le truppe francesi riconquistarono Timbuctu. Dopo aver “bonificato” anche il Ciad, il 1º agosto 2014 una nuova operazione francese contro gli islamisti del Sahel fece vittime eccellenti del mondo jihadista: tre dei cinque leader islamici, Abdelhamid Abou Zeid, Abdel Krim e Omar Ould Hamaha vennero uccisi, mentre Mokhtar Belmokhtar fuggì in Libia e Iyad ag Ghali in Algeria da dove guida Ansar Dine.

Ma il Mali poteva ritenersi al sicuro? Certamente no. La rivalsa islamista, sottovalutata sia dalla Francia che dal resto della comunità internazionale, non si sarebbe fatta attendere. I terroristi hanno considerato i recenti accordi di Algeri tra le parti una “buffonata”. Si sono presi il tempo necessario per riorganizzarsi e lanciare un affondo che avrebbe fatto riprecipitare il Mali nella disperazione, ponendo una seria ipoteca alla costruzione di un Califfato africano (del quale parlammo su Formiche.net nel gennaio del 2013) capace di attrarre tutti i gruppi terroristi della regione ed espandersi, grazie all’appoggio di Boko Haram, verso il nord Africa congiungendosi al jihadismo libico e tunisino in particolare.

Particolare da non sottovalutare: i terroristi islamici che agiscono nel Mali e nei suoi dintorni sono nel frattempo divenuti trafficanti di ogni specie di prodotti illeciti e, dunque, hanno conquistato una autonomia finanziaria notevole. Sono assassini politici, guastatori religiosi che usano il Corano come un’arma impropria, delinquenti dediti all’acquisizione di risorse, spietati violentatori di popoli della loro stessa fede. Lo stato maliano si è dissolto un’altra volta. L’attacco al Radisson ne certifica la fine. e fa spuntare un nuovo inquietante interrogativo. Se l’offensiva jihadista africana dovesse saldarsi, al netto della competizione sul piano del terrore, con quella del Califfato del Daesh, che cosa diventerebbe il Mediterraneo?

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