Il richiamo agli anni italiani di piombo, di fronte al terrorismo islamico che sta insanguinando e paralizzando mezzo mondo, non può e non deve valere solo per la paura che ne deriva. E con la quale siamo condannati a convivere, nonostante i tanti appelli a non averne, e a non rinunciare alle nostre abitudini, o modelli, di vita. Si fa presto a dirlo, anche per dovere di ufficio o di missione, com’è capitato di fare in questi giorni, rispettivamente, ai presidenti della Repubblica e del Consiglio o al Papa. La paura c’è e si espande, come un’epidemia.
Oltre che per la paura, e l’orrore del sangue, gli anni italiani di piombo tornano nella memoria di chi li ha vissuti, raccontati, analizzati e commentati per talune analogie che esistono, per fortuna, fra il terrorismo di allora e quello di oggi, più in particolare fra le brigate rosse di allora e le brigate islamiche, chiamiamole così, di oggi. Fortunatamente, perché ciò che contribuì a sconfiggere le brigate rosse, in modo ancora più decisivo del livello militare della reazione dello Stato, potrebbe contribuire a sconfiggere anche i miliziani del fantomatico Stato Islamico.
++++
Il terrorismo del Califfato nero sta all’Islam, a livello mondiale e locale, come le Brigate rosse stavano da noi, in Italia, al famoso “album di famiglia” del Pci, coraggiosamente indicato da Rosanna Rossanda, e al sindacato, particolarmente quello di matrice e militanza di sinistra, cioè la Cgil. Non a caso l’uno e l’altra – Pci e Cgil- furono accusati dalle Brigate rosse di avere tradito la causa degli operai preferendo l’imborghesimento e gli accordi di potere con le derivazioni settoriali e locali del fantomatico Sim, inteso come Stato Imperialista delle Multinazionali.
Dopo avere cercato penosamente di ignorare la realtà parlando di “sedicenti brigate rosse”, il Pci chiuse ad esse porte, finestre e pertugi, scavalcando tutti nella fermezza, anche quando a farne le spese dovette essere l’interlocutore privilegiato che Enrico Berlinguer aveva nella Dc: Aldo Moro, sequestrato dai terroristi il 16 marzo 1978, fra il sangue della scorta, e ucciso pure lui il 9 maggio successivo.
Alle Brigate rosse, non più fantomatiche, non rimase che cercare coperture e proseliti nelle fabbriche, come adesso il terrorismo islamico cerca e purtroppo trova proseliti nelle pieghe non sempre marginali o marginalizzate delle seconde e terze generazioni d’immigrati islamici in Europa e altrove.
A dispetto della formale mobilitazione dei sindacati, il terrorismo tentò a lungo, e riuscì spesso a penetrare nei luoghi di lavoro, sino a quando non si scontrò nell’Italsider di Genova con un operaio e sindacalista della Cgil di grandissimo coraggio: il giovane Guido Rossa. Che, avendo scoperto il compagno Francesco Berardi a distribuire il 25 ottobre 1978 materiale propagandistico delle Brigate rosse, rinvenendo nel suo armadietto anche inquietanti liste di targhe automobilistiche, decise di denunciarlo, per quanto in dissenso dagli altri due delegati sindacali. Il Berardi fu arrestato e rapidamente condannato, su testimonianza processuale di Rossa, a 4 anni e mezzo di carcere.
++++
Il colpo fu durissimo per le Brigate rosse, i cui vertici della colonna genovese persero ancora di più la testa facendo l’autorete della più odiosa ritorsione. Rossa fu ammazzato sotto casa, nella sua auto, la mattina del 24 gennaio 1979. Ai funerali parteciparono in 250 mila, guidati dall’allora presidente ligure della Repubblica Sandro Pertini. Che poi volle andare ad un’assemblea di camalli, gli scaricatori del porto di Genova fra i quali si sospettava che circolassero le parole d’ordine dei terroristi. E gridò “Vergogna”, come solo lui sapeva fare, ai delinquenti che avevano osato insozzare il nome delle brigate rosse, quelle vere, con le quali egli aveva combattuto i nazifascisti nella Resistenza.
Da allora per i brigatisti rossi fu la fine, sia pure con qualche altra coda sanguinosa della loro guerra infame.
Il problema adesso, specie dopo la sfilata dei musulmani per le strade di Milano e di Roma per gridare ai blasfemi dell’Islam di non uccidere “in mio nome”, è di trovare, fra loro, dieci, cento, mille Guido Rossa.
Gli emuli dell’indimenticato e indimenticabile eroe dell’Italsider nelle moschee, periferie e dintorni, in Italia ma anche in Francia, in Belgio, dappertutto in Europa e oltre, hanno un dovere da compiere verso la propria religione, pur nell’applicazione medievale in qualche Stato mediorientale a parole moderato. Oltre che nei riguardi dei non musulmani fra i quali essi vivono, o con i quali intendono vivere i compagni di fede che scappano dalle loro terre martoriate per fame e paura dei tagliagole.