A Washington ci sono pochi dubbi a riguardo: è meglio che l’Unione europea non conceda, per il momento, lo status di economia di mercato alla Cina. Sono ancora troppi, visti dall’altra sponda dell’Atlantico, i problemi e le incognite conseguenti a questa scelta, criticata anche in molti Paesi del Vecchio continente, Italia compresa.
L’AVVERTIMENTO DI WASHINGTON
Secondo gli Usa, ha spiegato ieri il Financial Times, concedere quello status significherebbe in primo luogo “disarmare unilateralmente” le difese sul piano commerciale dell’Europa nei confronti della Cina; potrebbe ledere gli sforzi volti a impedire alla seconda economia al mondo di inondare i mercati americano ed europeo con prodotti dai prezzi troppo bassi; e renderebbe difficile da parte di Usa ed Europa – impegnate contestualmente a definire una zona di libero scambio attraverso il trattato Ttip – l’imposizione di tariffe all’importazione del Made in China anche di fronte a pratiche sleali o anti concorrenziali, tanto più in un regime non democratico.
LE MIRE DI PECHINO
Ottenere il cosiddetto Mes all’Organizzazione mondiale del commercio, la Wto, è uno degli obiettivi strategici principali della Cina, ha ricordato ancora il quotidiano britannico rendendo noti i nuovi avvertimenti statunitensi. La Cina ha da poco ottenuto l’inclusione del renminbi, la divisa della Repubblica Popolare, nel paniere delle valute di riserva del Fondo monetario internazionale. Un obiettivo inseguito a lungo, che le consentirà di pesare un po’ di più nell’istituzione, ma del tutto secondario rispetto al riconoscimento dello status di economia di mercato.
I TIMORI DI USA (E ITALIA)
I prodotti cinesi, mettono in guardia gli Stati Uniti, oggi sono venduti all’estero a un prezzo inferiore al costo di produzione, o comunque realizzati con sussidi statali o un’ingerenza troppo forte dello Stato nel settore privato. Non solo. Per la nostra Confindustria, con questo riconoscimento “la concorrenza cinese, per molti aspetti già sleale, sarebbe ancora più favorita, con enormi vantaggi in termini di costi dell’energia, del lavoro e del rispetto delle norme ambientali”. Molti i settori colpiti dalle pratiche cinesi: da quello siderurgico alla meccanica, passando per la manifattura e persino l’artigianato. Anche il governo italiano ha detto la sua, prendendo posizione contraria: “L’eventuale concessione del Mes alla Cina avrebbe l’immediata conseguenza che il calcolo del dumping per tutti gli esportatori cinesi debba essere effettuato dalla Commissione Europea basandosi esclusivamente su prezzi e costi interni al mercato cinese, cioè su valori distorti e non corrispondenti alle normali e libere dinamiche economiche”. Per questo il responsabile del commercio estero, il vice ministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda ha sottolineato che è necessario avere dei buoni rapporti con la Cina “ma allo stesso tempo evitare”, come detto dagli Usa, “un disarmo unilaterale”. Con Pechino descritto come “un grosso elefante nella stanza che nessuno vede”.
LE DIVISIONI EUROPEE
Dall’America, l’Europa viene vista come sempre più aperta a concessioni verso la Cina con l’intento di guadagnare miliardi di euro di investimenti. L’Ue nega ciò, spiegando invece che la concessione dello status di economia di mercato alla Cina, che si dovrebbe decidere a febbraio, non è automatica. Anche se Pechino è entrato a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nel dicembre del 2001, non è detto che a distanza di quindici anni e, quindi nel dicembre del 2016, riceverà il disco verde da Bruxelles per lo status di market economy. A chiarirlo sono stati a novembre scorso a Formiche.net proprio gli uffici del commissario al Commercio Cecilia Malmstrom. Ma nonostante le rassicurazioni, i timori di Washington non sembrano infondati: nel Vecchio Continente, sottolinea ancora il Ft, le posizioni sono diverse: la Germania è favorevole così come il Regno Unito, che con la sua City conta di diventare piazza di scambio finanziaria della valuta cinese.
Ecco alcuni degli approfondimenti recenti di Formiche.net sulla Cina, lo yuan nel paniere Fmi e il riconoscimento dello status di economia di mercato per Pechino:
Il futuro dello Yuan: moneta locale o globale? L’articolo di Chiara Oldani
Yuan nel paniere Fmi: sfida o follia? L’analisi dell’economista ed ex ministro Paolo Savona
Perché lo yuan finisce nel paniere del Fmi. Cronaca, commenti e analisi raccolti da Michele Pierri