Se si ripercorressero le esperienze di governo degli ultimi premier italiani, da Silvio Berlusconi a Enrico Letta, passando per Mario Monti, nessuno potrebbe dire di essere stato risparmiato da appelli, più o meno vigorosi, per invertire la tendenza delle politiche di austerità volute dalla Commissione e da altre istituzioni di Bruxelles, tornate ieri a rimbrottare l’Italia attraverso le parole del presidente olandese dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem: “L’Italia non esageri”. Ha destato perciò stupore che l’attuale presidente del Consiglio, Matteo Renzi, l’unico ad aver finora aperto un fronte europeo per scardinare alcuni dossier considerati troppo filo tedeschi, potesse subire delle critiche a riguardo, anche in ambienti considerati se non renziani, almeno non ostili all’esecutivo guidato dal segretario del Pd.
IL CLIMA A BRUXELLES
A riprova del clima teso che si respira nell’Unione dopo le sortite di Palazzo Chigi – che ha esplicitato in maniera pubblica, chiara e netta tutti i dossier su cui Italia e Germania non sono d’accordo, dalle sanzioni alla Russia ai gasdotti che collegano il Vecchio continente a Mosca, passando per il surplus commerciale tedesco e i niet sulla Bad bank auspicata per alleggerire gli istituti italiani dai crediti deteriorati – ci sono almeno tre episodi.
Come detto, l’ultimo in ordine di tempo lo ha esplicitato ieri, a margine dell’avvio della presidenza olandese del Consiglio Ue, il ministro delle Finanze dei Paesi Bassi e presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem: “L’Italia – ha detto – ha chiesto varie flessibilità, per le riforme strutturali, per gli investimenti, per i migranti. È il solo Paese che ha chiesto di sfruttare del tutto queste possibilità». La valutazione su questo “dipende dalla Commissione”, ha aggiunto. “L’unica cosa che posso dire è: non spingiamo. La flessibilità è un margine, si può usare una volta sola. Non si può esagerare”. Parole chiare su come viene percepita dai cosiddetti “falchi” la condotta della Penisola.
Il secondo riguarda il cambio di approccio, deciso dal governo in un momento così delicato, che dovrebbe portare alla sostituzione dell’ambasciatore italiano a Bruxelles, Stefano Sannino, dal 2013 rappresentante presso le istituzioni comunitarie, ma con una vasta conoscenza dei meccanismi europei. Il terzo sono le dimissioni di Carlo Zadra, esperto giuridico e unico italiano presente nel gabinetto del presidente della Commissione Ue, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, uscito di scena il 2 gennaio. Zadra, dicono le indiscrezioni trapelate, era entrato in contrasto con il capo di gabinetto, il tedesco Martin Selmayr, che aveva tolto le deleghe al funzionario e le aveva affidate al britannico Michael Shotter, scatenando le proteste del sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi (anche se, ha spiegato su Formiche.net l’economista Giuseppe Pennisi, dietro la “cacciata” di Zadra ci sarebbe una vertenza che riguarda i numerosi tentativi dell’Ue di “allargarsi troppo” e di considerarsi un super Stato o comunque un’entità sopranazionale che, alla faccia dei contribuenti degli Stati membri, può pagarsi iper stipendi e costellare di “ambasciatine” l’intero globo).
LE CRITICHE A RENZI
Ad ogni modo, proprio nel momento in cui Palazzo Chigi avrebbe bisogno della massima coesione interna per dare maggior forza alle proprie istante, nella Penisola si registrano alcune crepe. Già a dicembre scorso Lorenzo Bini Smaghi, economista, già membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea dal 2005 al 2011, oggi presidente del consiglio di amministrazione della banca d’affari francese Société Générale, aveva rivolto a Renzi, di cui pure è stato e forse è ancora sostenitore, alcune osservazioni.
In un’intervista al quotidiano britannico Financial Times, Bini Smaghi, dopo aver “accarezzato” il premier definendolo un “politico vero, forse il primo che l’Italia ha avuto da 25 [o] 30 anni”, ne ha sottolineato qualche difetto. “È davvero un peccato che con tutto il suo potere, l’entusiasmo e la volontà di cambiare, alla fine i risultati siano una frazione di quello che poteva raggiungere”, disse. “Non ci saranno molti anni di crescita prima della prossima crisi e dobbiamo iniziare a ridurre il debito”, sottolineò. Proprio ciò che chiede l’Europa. Poi la stoccata finale: “Temo che per lo più la sua priorità sia politica”, cioè essere rieletto”.
I CONSIGLI DI NELLI FEROCI
Pochi giorni fa, il 5 gennaio, a “bacchettare” la condotta del premier è stato invece un diplomatico di lungo corso come Ferdinando Nelli Feroci, arrivato alla presidenza dell’Istituto Affari Internazionali dopo essere stato rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione e anche commissario Ue all’Industria, avendo collaborato anche con il governo D’Alema. “In linea di principio – ha detto in un’intervista alla Stampa con Marco Zatterin – sono convinto che non convenga battere i pugni sul tavolo”. Invece, ha aggiunto, “penso che altri metodi possano condurre a risultati migliori… Le cose si ottengono di più, e meglio, attraverso la costruzione progressiva di un rapporto di interlocuzione e di collaborazione con le istituzioni europee, e con una rete di alleanze con i partner”.
IL RIMBROTTO DI NAPOLITANO
Nell Feroci è stato esplicitamente citato dall’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. In una intervista al Corriere della Sera il 6 gennaio, l’ex capo dello Stato pur preannunciando il suo voto favorevole al referendum sulla riforma costituzionale che si terrà a ottobre, ha espresso alcune critiche di metodo al governo Renzi proprio per i modi bruschi in Europa. Non è piaciuto a “Re Giorgio” – ha osservato l’editorialista Francesco Damato su Formiche.net – lo stile con il quale il presidente del Consiglio ha affrontato negli ultimi tempi il tema delle relazioni con la cancelliera tedesca Angela Merkel, al di là dello “splendido rapporto personale” che vanta pubblicamente di avere con lei, e più in generale con l’Unione Europea. Dove si ha spesso l’impressione che l’Italia, nonostante il percorso delle riforme in cui è impegnata, continui ad essere vista con sospetto, diffidenza, cautela, come se fossimo – ha osservato il quirinalista – dei “sorvegliati speciali”. Per cui Renzi potrebbe sembrare dalla parte della ragione a moltissimi italiani, anche a quelli che magari non vogliono votarlo, quando dice di non voler andare a Bruxelles e altrove “con il cappello in mano”. Ecco, questa immagine del “cappello in mano” ha infastidito Napolitano, che le ha contrapposto la lunga “autorevole, dignitosa, e senza il cappello in mano”, appunto, esperienza vissuta dal diplomatico Nelli Feroci come rappresentante italiano presso l’Unione Europea, prima di cessare dal servizio e di diventare presidente dell’Istituto Affari Internazionali.
L’AFFONDO DI ENRICO LETTA
Più scontati forse, visti i trascorsi, ma altrettanto duri, i toni utilizzati dall’ex premier Enrico Letta parlando con il Corriere della Sera. “I successi dell’Italia – ha spiegato – sono sempre stati successi di leadership. Non si vince agitando slogan come “battere i pugni sul tavolo” o “non avere il cappello in mano”. Il problema è la credibilità, cioè la coerenza tra parole e fatti. Se si usa troppo spesso l’Europa come scaricabarile o come capro espiatorio, poi se ne subiscono le conseguenze”. Letta ammonisce: “Stiamo attenti: chi semina vento, raccoglie tempesta. Ho paura che alcuni atteggiamenti di Renzi sull’Europa siano dovuti ai sondaggi e alla voglia di avere voti. Del resto il fatto di avere o non avere il cappello in mano dipende dai fatti non dalle parole. Non basta autodefinirsi credibili. E una politica europea credibile deve basarsi su alleanze efficaci: la nostra alleanza naturale è con Francia e Germania. Serve una nuova iniziativa europea, a due cerchi”.
LA STRATEGIA IN EUROPA
Non solo. Se il sostegno alle battaglie europee di Renzi sembra essere in calo in casa propria, le difficoltà si moltiplicano quando il presidente del Consiglio prova a cercare alleati nell’Unione. “Se il premier vuole evitare che il tutto si riduca a qualche titolo sui giornali italiani – ha commentato su Italia Oggi Edoardo Narduzzi – deve far capire quale strategia abbia in testa. Quali sono i suoi alleati e le sue sponde politiche all’interno dell’Ue con le quali conta di giocare una partita così difficile”. Ovviamente, ha proseguito, “non si sta parlando della Lituania, di Malta o di Cipro. La campagna contro la Merkel per essere vittoriosa necessita di ben altri alleati che ad oggi non sono ancora chiari. Pensare di fare da capofila di un fronte mediterraneo che va da Atene a Lisbona, magari approfittando di un nuovo governo Psoe-Podemos a Madrid, caratterizzato da governi più sinistrati che di sinistra, tanto fragili sono le coalizioni che li caratterizzano, appare una manovra destinata a fallire. Per scardinare l’asse della Merkel serve avere dalla propria parte o la Francia o, ancora meglio, qualche peso massimo a tripla A dell’eurozona come l’Olanda o l’Austria che però non si conquistano proponendo di battere la crisi facendo più deficit di bilancio”.
La “guerra” si preannuncia dunque difficile, anche perché – ha sottolineato su queste colonne l’economista Veronica De Romanis – sarà molto difficile che qualcuno possa seguire Renzi su questo terreno, a cominciare proprio da Parigi, che pure è in difficoltà e sfora da tempo i parametri europei. “François Hollande avrebbe sicuramente interesse a intraprendere insieme a Matteo Renzi la battaglia contro le regole fiscali europee. Gli consentirebbe, forse, di sottrarre voti a Marine Le Pen alle elezioni politiche del prossimo anno. Tuttavia, se l’economia francese gode di un premio di rischio ben inferiore a quello italiano, nonostante il disavanzo sia ben sopra il limite del 3 per cento dal 2008 e il debito abbia raggiunto in poco tempo il 100 per cento del Pil, è proprio in virtù della tradizionale alleanza con la Germania. I mercati hanno finora sottostimato il rischio francese in gran parte per effetto dell’asse franco-tedesco. Ecco perché, quando la Francia si trova a dover scegliere tra l’Italia e la Germania, tende quasi sempre a scegliere la seconda”. Lo farà anche questa volta? Probabile.
Ecco perché, secondo lo storico ed economista Giulio Sapelli, Roma deve guardare oltreoceano per trovare alleati in questa battaglia. “Renzi – ha detto in un’intervista a questa testata – ha capito che non può contare più sulla Francia, ad esempio, con cui contava di fare fronte comune. Questa possibilità è tramontata dopo la scelta americana di dare la guida della missione in Libia all’Italia, che Parigi ha visto come fumo negli occhi. Parigi considera il Mediterraneo un suo cortile e tollera poco la presenza di Roma, così come non la tollerava ai tempi di Muammar Gheddafi. Non è un caso che abbiano provato a bombardare negli scorsi mesi: volevano far saltare l’accordo per un governo di unità nazionale per cui si è spesa molto la nostra nazione. Forse il presidente del Consiglio potrà trovare sponde nel governo socialista in Portogallo e in una Spagna senza il popolare Mariano Rajoy. Ma poco più. In questo momento è negli Stati Uniti che Renzi ha i suoi alleati più forti”.