Seconda parte di un’analisi sul petrolio in Libia. La prima parte è stata pubblicata ieri
Per ora, come descritto in un precedente articolo, i terroristi del califfato non sono in grado di prendere stabilmente il controllo di pozzi, oleodotti, raffinerie o terminali petroliferi, ma a differenza di quanto avviene fra Iraq e Siria – dove hanno il controllo dei pozzi e possono contare sull’alleanza clandestina con la Turchia – il loro obiettivo in Libia è evidentemente quello di distruggere le infrastrutture che costituiscono la ricchezza del Paese per fare collassare entrambe le fazioni governative.
Proprio al petrolio sono connesse le uniche due istituzioni riconosciute da tutte le fazioni il cui unico punto unificante è l’ostilità all’ISIS. Questa, come ha indicato poche ore fa il presidente Romano Prodi, sono la National Oil Corporation (l’azienda di Stato libica) e la Central Bank of Libya. La prima, direttamente o attraverso le sue controllate come la Waha Oil Co. la Zuetina Oil Co. e la Arabian Gulf Oil Co., possiede metà dei giacimenti del Paese e gestisce i rapporti con gli operatori e i partners stranieri. La seconda incamera e ridistribuisce le ricchezze accumulate con le esportazioni.
L’italiana Eni è la compagnia straniera maggiormente coinvolta: ha interessi nei campi petroliferi di Abu Attifel e NC-125 cui si aggiunge quello di Nakhla (C97) (dove sono partner anche Wintershall e Gazprom) nella zona centro orientale e collegati con la raffineria ed il terminale di Zuetina, nei campi petroliferi di El Feel (Elephant), e con quelli a gas e condensati di Wafa e Bahr Essalam nella zona occidentale e collegati con le raffinerie e i terminali di Mellitah. Infine, gestisce gli off-shore nel campo di Bouri anch’esso collegato allo snodo di Mellitah.
La sola produzione libica sotto il controllo Eni copre 0,3-0,35 Mboe/d, più del 70% della produzione libica complessiva odierna. Per tre quarti si tratta di gas e per un quarto di petrolio. Di questo pacchetto, il 55% viene dai giacimenti in terraferma e il 45% dai pozzi offshore. La Libia ora costituisce il 20% della produzione totale Eni.
Tutti i campi off-shore – protetti dalla Marina Militare – sono attivi, ma la guerra civile impedisce il funzionamento di tutti i campi sul territorio con l’eccezione del solo campo di Wafa. Il campo Elephant è stato chiuso a maggio mentre quelli nella zona orientale hanno cessato i lavori nel luglio 2013. Ora le uniche attività sono quelle di presidio.
In Libia non sono presenti dipendenti Eni italiani o di altre nazionalità. Gli impianti sono gestiti e protetti da personale locale in coordinamento remoto con personale italiano. Ma a marzo del 2015 è stata annunciata una significativa scoperta di gas e condensati nell’offshore libico, nel prospetto esplorativo Bahr Essalam Sud. A maggio, è seguita un’ulteriore scoperta nel prospetto esplorativo di Bouri Nord. In entrambi, Eni è operatore unico. La vicinanza di queste nuove scoperte alle infrastrutture esistenti ne renderà possibile il rapido sviluppo appena la situazione lo permetterà.
La francese Total ha interessi nel campo di Mabrouk, nella zona centro-orientale e collegato con la raffineria e il terminale di Es Sider, ma anche – insieme alla spagnola Repsol – nei campi occidentali di El Sharara (NC-115 e NC-186) collegati allo snodo petrolifero di Zawiya vicino a Tripoli. In mare c’è il giacimento di Al-Jurf collegato al terminale di Farwah.
La russa Gazprom segue i campi di As Sarah/Jakhira b(C96) e Nakhla (C97) nel centro est e collegati al terminale di Ras Lanuf, ma anche, nello stesso quadrante, il campo Nakhla (C97) collegato a Zuietina.
Dagli USA, la Conoco Phillips, la Marathon e la Hess, hanno interessi nei campi di Waha, Samah, Dahra, e Gialo nella regione centro-orientale e collegate con il terminale di Es Sider.
La tedesca Wintershall è partner di Gazprom in tutti i campi e terminali che fanno riferimento a quest’ultima in territorio libico.
Le canadesi Suncor e PetroCanada sono nei campi centro orientali di Amal, Naga e Farigh, collegati al terminale di Ras Lanuf. L’americana Occidental e l’austriaca OMV hanno interessi nei campi di Intisar e NC74, nel centro est e collegati a Zuietina.
Infine, la NOC, direttamente o tramite le sue controllate, gestisce i campi orientali di Sarir, Messla, Beda, Magrid e Hamada, le raffinerie di Ras Lanuf, Tobruk e Sarir ed il porto di Marsa al-Hariga vicino a Tobruk. Nel quadrante centro orientale NOC gestisce anche il complesso Brega (Nafoura/Augila), Nasser (Zelten), Raguba, e Lehib (Dor Marada) collegati alla raffineria e terminale di Marsa al-Brega.
La maggior parte di queste strutture sono ferme e oggetto delle scorribande dei predoni.
Inutile ricordare che tutte le compagnie straniere che attendono il pieno riavvio della produzione libica non riforniscono solo il proprio mercato interno ma sono collegate al mercato mondiale dell’energia.
Il Paese possiede le più grandi riserve di petrolio africane e si piazza al nono posto per riserve mondiali (stimate in 48,363 milioni di barili, cui si aggiungono 1,505 miliardi di metri cubi di gas). Ma tutte le infrastrutture, dai pozzi alle pipelines, dalle raffinerie ai terminali, si trovano immerse in una delle atmosfere più esplosive del Pianeta.
Tutto il mondo, quindi, – ma in prima fila gli stessi cittadini libici – aspetta che le fazioni in lotta per il potere riescano a trovare un accordo ed a formare un governo riconosciuto sia all’interno che all’estero. Solo questo potrà chiedere un intervento internazionale, unica via per liberare il popolo libico dal terrore.