Il ricercatore Luca Longo ha avviato su Formiche.net una serie di approfondimenti tecnici sulle materie oggetto del referendum che si terrà il 17 aprile. Ogni giorno sta affrontando un tema specifico, mettendo in rilievo contraddizioni e propagande di promotori e sostenitori della consultazione. Qui il terzo approfondimento su quello che (non) dice il quesito referendario. Qui il quinto approfondimento su quello che (non) dice il quesito referendario. (Redazione)
I primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti annualmente sono esenti da royalties, quindi “gratuiti” per le compagnie petrolifere, non porre una scadenza alla concessione consentirebbe di estrarre annualmente quantità di gas sotto questa soglia, in modo tale da non versare soldi nelle casse dello Stato.
Dal 2010 per le estrazioni in terraferma è applicata un’aliquota del 10% sulle quantità di petrolio e gas estratti mentre per le estrazioni offshore le royalties si differenziano dal 2012 in due aliquote: 10% sulla quantità di gas naturale estratto e 7% sul petrolio. Per incentivare le società petrolifere a investire in Italia, ci sono delle franchigie che valgono per le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente su terraferma, per le prime 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, per i primi 25 milioni di m3 di gas estratti su terraferma e per i primi 80 milioni di m3 in mare. Nel 2015, su un totale di 26 concessioni produttive, solo 5 che estraggono gas e 4 che estraggono anche petrolio, hanno pagato le royalties. Tutte le altre hanno estratto quantitativi tali da rimanere sotto la franchigia. Nello stesso anno, queste hanno fruttato alle casse dello Stato circa 370 milioni di euro (compresi circa 18 milioni di euro che i concessionari di concessioni in Sicilia versano direttamente alla Regione e ai comuni). L’Eni da sola ha versato 210 milioni, seguita da Shell (94), SIG (10), Edison (9), e altre. Interessante che la Basilicata, capofila nella campagna referendaria, è anche la Regione che si porta a casa una enorme fetta delle royalties sulle estrazioni (142 milioni) seguita da Emilia Romagna (solo 7 milioni), Calabria (6), Puglia (4), e altre.
Va infine notato che le royalties sono misurate sulle quantità, ma sono calcolate in base ai prezzi medi di petrolio e gas, quindi sono strettamente legate al prezzo del mercato: se il prezzo del barile si abbassa, si abbassa anche il gettito per lo Stato.
A questi introiti si aggiungono, però, 800 milioni di tasse e 300 milioni in investimenti per la ricerca. Senza contare che queste attività danno lavoro direttamente a oltre 10.000 persone e concorrono a creare un indotto che offre lavoro a oltre 100.000 persone.
Si può decidere che tutto questo sia giusto o che sia sbagliato, e modificare opportunamente la legislazione del settore, ma si deve tenere conto che meno si incentivano le società petrolifere a investire in Italia, più le si incentiva a investire all’estero (magari in Croazia, proprio di fronte alle nostre coste…). Così l’inquinamento mondiale rimarrebbe costante ma l’Italia dovrebbe comprare all’estero più energia di quella che già compra oggi.
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(La quinta puntata degli approfondimenti si può leggere qui)
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