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Monte dei Paschi di Siena, Intesa Sanpaolo, Unicredit. Come cresce la rivolta contro il diktat della Germania sui bond statali

Di Michele Arnese e Fernando Pineda

Non sbuffano solo le banche dei Paesi periferici. A criticare il progetto voluto dalla Germania e sostenuto da altri Stati del Nord per limitare lo stock dei titoli di Stato nel portafoglio delle banche al fine di ridurre i rischi sistemici sono anche governi (come quello italiano e quello francese), gli industriali di alcune nazioni (come nel caso dell’Italia con Confindustria che ha redatto un allarmato report) e finanche economisti di impostazione liberista e di certo non anti Germania come l’ex componente del board della Bce, Lorenzo Bini Smaghi: “L’Europa non si deve sparare nei piedi. E se decidiamo noi stessi che i nostri titoli di Stato non valgono nulla, lo facciamo“, ha detto l’economista.

Ecco le ultime novità nel dibattito che si sta facendo incandescente in vista della riunione dei ministri economico-finanziari all’Ecofin di venerdì 22 e di sabato 23 aprile in programma ad Amsterdam.

L’ORDINE DEL GIORNO ALL’ECOFIN

La presidenza olandese dell’Unione europea negli scorsi giorni ha pubblicato un rapporto che sarà la base della discussione nel vertice del prossimo fine settimana. Ecco cosa si legge tra l’altro nel rapporto: “Presenze strutturalmente elevate di debito pubblico nelle banche aumentano il rischio che in caso di fallimento sovrano vi sia anche una crisi bancaria”. Il corollario di questa teoria è che occorre mettere limiti all’ammontare di debito pubblico detenuto dalle banche per diminuire appunto i rischi nei bilanci degli istituti.

IL PROGETTO TEDESCO

Le mire della Germania sono chiare anche se non ci sono dichiarazioni pubbliche. Il ragionamento di Berlino a grandi linee è il seguente: per condividere i rischi occorre ridurli. Quindi, in altri termini, per avviare un’assicurazione unica al fine di garantire i depositi bancari serve diminuire il rischio per gli stessi istituti di credito. E da dove arrivano i maggiori rischi secondi i Paesi del Nord europa e secondo la Germania? Dai titoli di Stato nei portafogli delle banche. E ad essere giudicati più rischiosi dal mercato sono i bond di quegli Stati che hanno uno stock maggiore di debito pubblico anche in relazione al Pil. In particolare, quindi, gli Stati cosiddetti periferici dell’Europa, compresa l’Italia.

GLI EFFETTI E IL REPORT DI BANCA D’ITALIA

Uno studio appena pubblicato dalla Banca d’Italia spiega gli effetti di questo progetto in fieri a livello europeo: che si metta un tetto al possesso di Bot e Btp, o che si attribuisca a quei titoli un coefficiente di rischio che oggi non hanno, “per le banche italiane, che hanno in pancia una quantità enorme di titoli pubblici, 270 miliardi di euro, il doppio della media europea, sarebbe un problema enorme”, sintetizza oggi il Corriere della Sera. Nel caso più estremo, i maggiori istituti sarebbero costretti a liberarsi di 100 miliardi di euro di titoli pubblici, la metà di quelli che hanno in portafoglio, aggiunge il Corriere della Sera dando conto dello studio approfondito nei giorni scorsi da Mf/Milano Finanza.

LE CRITICHE DEI GOVERNI

Italia e Francia non hanno esitato a esternare perplessità e critiche.

Imporre dei vincoli ai titoli di Stato detenuti dalle banche “è sbagliato” e rappresenterebbe “un problema forte” per l’Italia, ha affermato due giorni fa a Roma il ministro dell’Economia e delle Finanze, Piercarlo Padoan, nel corso di un’audizione parlamentare. La questione, ha aggiunto criticamente il titolare del Tesoro, va affrontata “al Comitato di Basilea e non all’Ecofin”.

Secondo il corrispondente da Parigi del Sole 24 Ore, Marco Moussanet, “la Francia preferisce non cambiare le regole prima che tutti i Paesi si siano dotati di assicurazioni nazionali sui depositi”. Parigi, aggiunge il Sole, non ha “alcuna voglia di accelerare sulla garanzia unica se il prezzo da pagare è quello dei debiti sovrani a rischio (con conseguente impatto sulla composizione dei bilanci bancari) e che, quindi, almeno a breve-medio termine, la scelta preferibile è quella di non modificare la situazione attuale”.

L’ALLARME DI CONFINDUSTRIA

Non ha esitato da settimana a prendere posizione sulla prospettiva voluta da Berlino e dai Paesi del Nord europa anche la Confindustria. In un puntuto report dell’ufficio studi, la confederazione ora presieduta da Vincenzo Boccia ha messo per iscritto una serie di critiche al progetto in cantiere in Europa (qui si può leggere il report completo).

Ecco alcuni dei passaggi più significativi: “Se oggi venisse ridotto l’acquisto di titoli sovrani da parte delle banche, facendo venire meno una importante fonte di domanda per tali bond, nei paesi dell’Eurozona con debiti pubblici maggiori i rendimenti dei titoli di Stato risulterebbero strutturalmente più elevati che altrove. Riflettendosi sul costo dei prestiti in tali paesi, ciò limiterebbe l’accesso al credito, comprimendo la crescita. In un circolo vizioso che minerebbe proprio la sostenibilità dei debiti pubblici. Esattamente l’opposto di quel che si vorrebbe ottenere con il limite ai titoli di Stato nei bilanci bancari, cioè di far fluire più fondi delle banche a imprese e famiglie, per sostenere la crescita”.

Inoltre, è scritto nel report di Confindustria, “l’introduzione di un limite agli acquisti bancari di titoli di Stato, dunque, farebbe aumentare la divergenza tra le economie periferiche da un lato, che sarebbero ancor più penalizzate, e quelle core dall’altro. Con il risultato di ampliare le divergenze in Europa e quindi accrescere le forze centrifughe che stanno minacciando la tenuta dell’UE. Solo quando ci sarà una Unione di bilancio (o Fiscal Union), con l’emissione di titoli federali che possano fungere da benchmark per tutti gli emittenti, allora i sistemi finanziari non saranno più nazionali e ciascun emittente, comprese le banche, sarà valutato per il proprio merito di credito, e non per l’appartenenza a uno Stato con un debito pubblico più o meno alto”.

I RILIEVI DI BINI SMAGHI

Anche l’ex componente del board della Bce, Lorenzo Bini Snaghi, non è entusiasta dell’accelerazione in sede Ecofin: l’ipotesi di porre un tetto al possesso di titoli di Stato per le banche europee dece essere una “proposta avanzata in un quadro più ampio di raggiungimento di un’Unione bancaria più completa, che preveda un passo in avanti verso un sistema di depositi unico”. Comunque, ha aggiunto l’economista, “il ruolo delle banche è prestare all’economia reale, piuttosto che investire in titoli di Stato”. Ciò detto, alla fine Bini Smaghi ha auspicato: “L’Europa non si deve sparare nei piedi. E se decidiamo noi stessi che i nostri titoli di Stato non valgono nulla, lo facciamo”.

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Che cosa bolle in pentola all’Ecofin sulle obbligazioni dello Stato. La ricostruzione di Fernando Pineda

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Cosa succederà alle banche secondo Mediobanca Securities. L’articolo di Laura Magna

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Come e perché le banche italiane stanno vendendo i titoli di Stato. L’articolo di Francesco Ninfole

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