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Tutti i piani renziani di Enrico Zanetti e Denis Verdini

Enrico Zanetti

Grande caos in Scelta civica. Enrico Zanetti, viceministro dell’Economia e segretario del partito fondato da Mario Monti, ha abbandonato il gruppo parlamentare alla Camera insieme ad altri tre deputati (Mariano Rabino, Giulio Cesare Sottanelli, Angelo D’Agostino) perché messo in minoranza. Mercoledì pomeriggio in un incandescente riunione del gruppo dove sono volate anche parole grosse, Zanetti aveva chiesto di rinviare l’elezione del nuovo direttivo di Montecitorio. Sedici deputati, però, hanno votato lo stesso confermando l’attuale capogruppo Giovanni Monchiero. In realtà la spaccatura è più profonda. Zanetti, infatti, sostiene che da tempo i deputati di Sc non seguono più la linea del partito, dove lui ha ancora la maggioranza.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso delle tensioni degli ultimi mesi è la decisione del viceministro di allargare il gruppo parlamentare ai dieci deputati di Ala, il gruppo di Denis Verdini. “Vogliamo dare vita a un soggetto più ampio, liberaldemocratico, che abbia “Alde” come riferimento in Europa. Un nuovo soggetto di centro che appoggi le riforme di Renzi e il suo governo”, ha spiegato Zanetti. Il quale ieri mattina, di fronte alla ribellione dei suoi, ha deciso di passare al gruppo misto insieme ai suoi tre fedelissimi, dando così vita alla componente “Scelta civica – Cittadini per l’Italia”, cui aderiranno anche i verdiniani e Marco Marcolin di Fare, la componente del sindaco di Verona Flavio Tosi. “Siamo arrivati a 15, ma contiamo presto di arrivare a 20, così da poter dare vita a un gruppo parlamentare a Montecitorio”, sottolinea Zanetti. “E’ inutile restare divisi, uniti avremo più forza, anche per incidere sull’agenda dell’esecutivo”, fa sapere Ignazio Abrignani, ex azzurro ora in Ala. Insomma, Verdini è riuscito finalmente ad allargarsi in Parlamento, così da poter contare di più di fronte al Pd.

E’ la prima volta che un segretario di un partito lascia il gruppo del suo stesso partito in Parlamento per fondarne un altro. I suoi ex colleghi (che hanno chiesto alla presidenza la deroga per continuare a essere un gruppo autonomo in virtù del fatto che si sono presentati alle ultime Politiche su tutto il territorio nazionale) ora pretendono le sue dimissioni da segretario, ma anche dal governo. “Zanetti è viceministro in rappresentanza di Scelta civica, visto che l’ha lasciata ora si deve dimettere”, dicono i deputati di Sc. Ma la questione è più complessa, perché la nascita di questa nuova formazione segna l’ufficiale ingresso di Verdini in maggioranza e nel governo, con un viceministro, Zanetti appunto. “Renzi dice che Verdini non fa parte della maggioranza, ora mi sembra che sia il contrario”, dice Roberto Speranza, invocando anch’egli le dimissioni dell’ex commercialista veneziano dall’esecutivo. Richiesta che Zanetti respinge al mittente, come anche quella per il posto da segretario. “Dimettermi da leader di Sc? Non ci penso proprio. In autunno faremo un congresso, il partito è scalabile, se qualcuno vuole il mio posto si candidi”, afferma. E poi riferito ai suoi ex compagni di gruppo aggiunge: “Sono loro a non rispettare le decisioni del partito, quindi dovrebbero cambiare nome anche a Montecitorio e chiamarsi Gruppo Misto 2. Lì non si faceva più politica ma sembrava un comodo materasso dove restare in attesa del passaggio del prossimo treno”.

Insomma, un gran caos. In questo psicodramma si aggiungono le mosse di Marcello Pera che, dal suo ufficio di Palazzo Giustiniani, sta organizzando un Comitato di moderati e liberali per il Sì al referendum costituzionale, insieme all’ex ideologo azzurro Giuliano Urbani. Un comitato che dietro le quinte vede tra i suoi sponsor proprio Zanetti e Verdini, in sponda con Alfano e Casini. E anche per non aderire al comitato del Sì dell’ex presidente del Senato che a Montecitorio è partita la fronda contro Zanetti.

Ora, paradossalmente, a Montecitorio ci saranno due gruppi che si richiamano all’ex partito di Mario Monti. Il quale, da senatore a vita non più coinvolto nelle beghe di partito, mai avrebbe immaginato che la sua creatura potesse deflagrare in questo modo. Il tutto ora però rischia di provocare qualche scossetta al governo, anche se al momento innocua. Perché non è affatto detto che i 16 deputati di Sc rimasti continuino a votare sempre e comunque con la maggioranza. Anche se ne fanno parte a tutti gli effetti.



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