Il presidente eletto Donald Trump ha comunicato un’altra scelta importante del team amministrativo: dal 20 gennaio prossimo, data dell’insediamento, il capo del Pentagono sarà l’ex generale dei Marines James Mattis. Si è ritirato nel 2013, dunque ha bisogno di una deroga dal Congresso per poter ricoprire il ruolo, in quanto è richiesto che si sia lasciata almeno da sette anni l’attività operativa. Sarebbe il primo militare da poco-ritirato a occupare il ruolo dal 1951 (con George Marshall, e ai tempi si parlò di una mossa da non ripetere ricorda il Wall Street Journal): Kirsten Gillibrand, senatrice democratica di New York, ha già sottolineato come “il controllo di un civile sul nostro esercito è uno dei pilastri della nostra democrazia”. Questo aspetto controverso è stato sottolineato anche da un funzionario del Pentagono che ha parlato in modo anonimo col Washington Post. Un altro dei problemi, un potenziale, risolvibile conflitto di interesse: è membro del board della General Dynamics, ditta appaltatrice della Difesa che costruisce sottomarini, blindati, aerei.
LA LINEA DURA
Una scelta forte quella di Trump, che ricade su un falco della linea dura: scapolo da sempre, dice di non possedere una televisione – il Telegraph ricorda che è in grado di citare “Sun Tzu, Ulysses S. Grant, George Patton, Shakespeare e la Bibbia” –, lo definiscono “un monaco guerriero”, Mattis è soprannominato “Mad Dog”, cane matto, ma è anche il liberatore di Falluja (lì s’è guadagnato il soprannome), ossia colui che vinse la più dura e sanguinosa battaglia della guerra d’Iraq nel 2004, incubo per i i soldati americani, ferita ancora aperta nell’immaginario dell’opinione pubblica statunitense. Mattis – call sign “Chaos”, acronimo anche di “Colonel Has An Outstanding Solution” – guidò le operazioni contro una delle roccaforti dell’insurrezione sunnite jihadista, e vinse: pensare l’umore di Mad Dog quando una dozzina di anni più tardi gli stessi soldati americani si trovarono a combattere la stessa identica battaglia contro gli stessi identici nemici, rafforzati, diventati Stato (islamico) anche per il lassismo dell’amministrazione americana che aveva lasciato il paese in mano alla presidenza settaria di Nouri al Maliki – spinta cruciale per spostare i sunniti oppressi verso le derive radicali. Curiosità: durante la guerra d’Iraq Mattis era il comandante di Joseph Dunford, attuale capo delle Forze armate americane, ai tempi colonnello di un reggimento dei Marines. Storie controverse non mancano: una su tutte, fu lui a ordinare il bombardamento che poi diventò il “Mukaradeeb wedding party massacre”, un raid nell’ovest dell’Anbar, verso il confine siriano, che invece del nemico centrò un matrimonio facendo 42 morti, probabilmente tutti civili; il generale si difese dicendo che “nessuno va in mezzo al deserto a celebrare un matrimonio, non siamo ingenui”, poi dichiarò che aveva avuto solo 30 secondi per decidere o meno se bombardare, lo fece perché le informazioni erano plausibili.
CONTATTI E DISTANZE
Trump lo ha annunciato da Cincinnati (Ohio, Stato importante per la vittoria), prima tappa del “Thank Tour”, definendolo “la cosa più simile al generale Patton”: con una gag, dal palco, mentre annunciava la scelta, ha invitato il pubblico e i media a tenere per sé la notizia, perché “a lui glielo diremo lunedì” e non voleva rovinargli la sorpresa. Il generale gode di un ampio sostegno al Congresso, dove il suo principale sponsor è il senatore John McCain, capo della Commissione forze armate e non proprio un trumpiano d.o.c., che però ha definito Mattis “senza dubbio uno dei migliori ufficiali militari della sua generazione e un leader straordinario che ispira un’ammirazione rara e speciale tra le sue truppe”. Il fatto che possa dare “stabilità alle truppe” è anche il motivo per il quale l’ex capo del Pentagono Robert Gates, intervistato dal WSJ, vede positivamente la nomina. Mattis ha guidato CentCom (il comando del Pentagono che si occupa di Medio Oriente) dal 2010 al 2013, poi è stato rimosso perché l’amministrazione Obama lo riteneva troppo duro con l’Iran. E proprio queste posizioni sono un’altra delle preoccupazioni che circolano intorno alla sua nomina: Mattis ha una linea diversa da quella sostenuta finora dal presidente eletto soprattutto sul futuro di una collaborazione con la Russia, di cui contesta le azioni in Ucraina, nel Baltico e soprattutto in Siria. Trump vorrebbe aprire a Mosca, e sulla Siria dice di voler lavorare con il regime di Bashar el Assad per combattere il terrorismo, ma per farlo bisogna passare da Teheran, alleato muscolare e in parte anche ideologico di Damasco: un filo che probabilmente non piace al generale (nota: Mad Dog non è uno di quelli che vorrebbe stracciare l’accordo sul nucleare, ma ritiene necessario alzare il livello dei controlli perché sia rispettato ogni singolo comma perché le loro ambizioni per costruire la bomba saranno solo rallentate; ad aprile al Center for Strategic and International Studies disse che l’Iran “la sola minaccia e più duratura per la stabilità e la pace in Medio Oriente”). Tra il futuro segretario alla Difesa e Trump ci sono stati già incontri: dopo uno di questi, in un Golf Club di proprietà di Trump in New Jersey, il presidente eletto si è detto “molto impressionato” (positivamente) dalle visioni del generale, e dopo il confronto con lui ha detto di aver cambiato parecchio idea sulle torture da interrogatorio – Trump era fondamentalmente favorevole, Mattis sostiene che non servono a troppo. Altro punto: la Nato, Trump ha detto che è “obsoleta”, ma dal 2007 al 2010 Mattis è stato uno dei principali comandanti dell’Alleanza.
ANTI-OBAMA E ANTI-DISIMPEGNO
Dopo il ritiro è diventato una voce critica di quello che ha definito “l’approccio senza strategia” di Obama in Medio Oriente: durante un’audizione al Congresso disse che la politica del disimpegno dal Medio Oriente, voluta da Barack Obama, ha contribuito a far crescere l’estremismo nella regione. Lui chiede che Washington faccia di più, non ponendosi limiti sulla possibilità dell’uso della forza (Bloomberg ricorda che l’Iran è stato uno dei principali terreni di scontro). E questa non è proprio una posizione che si allinea con il tanto annunciato isolazionismo trumpista – poi quando inizierà l’amministrazione si vedrà se sarà seguita la linea dichiarata, ma per il momento “l’engagement permanente” che vuole Mattis, ossia il fatto che gli Stati Uniti siano una potenza globale impegnata in tutti gli affari correnti, è piuttosto distante dalle visioni del presidente repubblicano. Durante la campagna elettorale a un certo punto William Kristol, falco conservatore che dirige la rivista Weekly Standard, che ha sempre disprezzato Trump, ha chiesto a Mattis di candidarsi, ma lui alla fine ha declinato, lusingato, l’invito; come ha fatto con quelli arrivati dai democratici, che lo volevano più volte sul palco dei propri convegni. Nel 2015, intervenendo a un incontro organizzato dal think tank di destra Heritage Foundation, parlando delle sfide separati dello Stato islamico e il terrorismo filo-iraniano (gruppi come Hezbollah, per capirci) disse: “È l’Islam politico nel migliore interesse per gli Stati Uniti? Suggerisco la risposta, è no: ma abbiamo bisogno di aprire una discussione. Però se non ci poniamo la domanda, come possiamo riconoscere la nostra parte nella battaglia?”.
ANEDDOTI DA ANTOLOGIA
I giornalisti che hanno seguito la sua carriera professionale chiamano i suoi aforismi, il suo modo conciso e denso di esprimersi “Mattisms”, Politico ne ha ricordati alcuni: una volta a proposito della guerra in Afghanistan disse che “era un Inferno, ma era divertente” perché in fondo “era divertente sparargli” (ai Talebani, sottinteso); o ancora “ci sono alcuni stronzi nel mondo che hanno solo bisogno di essere fucilati”, oppure quello che ha detto ai leader iracheni dopo l’invasione, “vengo in pace, non ho portato con me l’artiglieria, però ve lo dico con le lacrime agli occhi: se mi fottete vi ammazzo tutti”. Ma, come scrive Slate, Mattis è anche il generale che ha chiesto ai suoi uomini di rispettare i capi tribù iracheni (certo, la linea era: “Siate educati, siate professionali, ma tenetevi sempre pronto un piano per uccidere chiunque incontriate), e sottolinea Vox che è rispettato per le sue qualità intellettuali e strategiche da tutto il suo ambiente, sviluppate soprattutto in Iraq, quando i suoi soldati dovevano avere abilità militari quanto psico-sociali per fronteggiare gli insorti e la diffusione delle loro istanze. Mattis, insieme a David Petraues (altro generale intellettuale per cui si pensano, pensavano forse, incarichi nell’Amministrazione futura) è autore del più importante manuale sulla contro-insurrezione (uscito nel 2005).
(Foto: Wikicommons, James Mattis a fianco a un Marines ferito in Iraq)