E’ il Pd la questione principale di cui si sta occupando in queste ore Matteo Renzi. La nottata è stata all’insegna di trattative e ragionamenti febbrili, così come la mattinata di oggi. D’altronde il premier ormai dimissionario ha scelto di abbandonare Palazzo Chigi, ma non ha ancora ufficializzato cosa intenda fare con il partito. Lasciare anche la carica di segretario oppure no? Una domanda che in molti – Renzi incluso – si stanno facendo in queste ore, la cui risposta dipenderà inevitabilmente pure dalle reazioni delle varie correnti interne. Che si sono già riorganizzate.
Il presidente del Consiglio può vantare una larga maggioranza all’interno della direzione del partito – grazie alle primarie vinte nel dicembre 2013 – ma su una pattuglia di parlamentari in fin dei conti non così vasta, considerato che deputati e senatori furono eletti quando a guidare il Pd c’era Pierluigi Bersani. In poche parole, nei gruppi dem di Camera e Senato i renziani duri e puri non rappresentano la maggioranza. L’ex sindaco di Firenze, dunque, – per imporre la sua agenda che prevede il ritorno alle urne il prima possibile – dovrà per forza di cose arrivare a una qualche forma di accordo con le diverse anime del Partito Democratico. Non è detto che ci riesca però: il riposizionamento è cominciato già da domenica sera quando si è capito che il Sì sarebbe stato largamente sconfitto.
Ma quanto pesano e da chi sono composte le famigerate correnti del Pd?
I RENZIANI
In Parlamento non sono più di una cinquantina, mentre nel partito rappresentano il 70-80% dei membri della direzione e dell’assemblea. I nomi sono noti: su tutti Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Francesco Bonifazi e Lorenzo Guerini. Della stessa pattuglia fanno parte anche i cosiddetti “catto-renziani” tra i quali rientrano Graziano Delrio, Angelo Rughetti e Matteo Richetti: sostenitori del premier ma con un profilo politico e culturale più autonomo.
AREA DEM DI FRANCESCHINI
Com’era nelle previsioni della vigilia, l’osso più duro per Renzi si sta confermando Dario Franceschini. Il ministro dei Beni culturali guida la corrente Area Dem, che all’interno dei gruppi del Pd di Camera e Senato può contare sulla rappresentanza più larga. Franceschini sta giocando una partita tutta sua, forte anche di ottimi rapporti con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al pari del quale si sta spendendo per la prosecuzione della legislatura. Posizione diametralmente opposta a quella di Renzi con cui – secondo quanto raccontano oggi su Repubblica Tommaso Ciriaco e Umberto Rosso – avrebbe avuto ieri un colloquio molto teso. Il suo nome, peraltro, è tra quelli che circolano con maggiore insistenza per la guida di un nuovo governo a maggioranza Pd, come ha confermato a Formiche.net anche la cronista politica di La7 Alessandra Sardoni.
I GIOVANI TURCHI
E’ la corrente che fa capo al presidente del partito Matteo Orfini e al ministro della Giustizia Andrea Orlando. Ex esponenti dei Ds – non bersaniani – che hanno deciso a suo tempo di sposare il progetto Renzi e di assumere ruoli di vertice nel Pd e nel governo. La loro posizione non sarebbe univoca in questa fase: Orfini è d’accordo con il premier sulla necessità di elezioni immediate, mentre Orlando viene descritto maggiormente in linea con la posizione di Mattarella. Il Capo dello Stato – come ha sottolineato con Formiche.net anche il professor Vincenzo Lippolis in questa conversazione – sembra voler far proseguire questa legislatura fino alla scadenza naturale del 2018.
IL GRUPPO DEL MINISTRO MARTINA
Si chiama Sinistra è cambiamento la corrente che fa capo al ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. Un gruppo cresciuto nel corso dei mesi dal punto di vista sia numerico che della capacità di influenza. Per Martina – che ha dalla sua il risultato di Milano delle scorse amministrative dove si è speso in prima persona nel sostegno a Beppe Sala – vale lo stesso discorso fatto per Orfini e Orlando: anche in questo caso si tratta di un ex esponente dei Democratici di Sinistra che è si schierato con Renzi quando ha conquistato la segreteria del Pd e poi il governo del Paese. Repubblica lo descrive allineato al premier sulla richiesta di elezioni anticipate.
LA COSIDDETTA MINORANZA DEM
Un distinguo di partenza in questo caso è necessario: da un lato ci sono Pierluigi Bersani e Roberto Speranza mentre dall’altro l’ex presidente del Pd Gianni Cuperlo. I loro destini si sono separati il giorno della Leopolda quando Cuperlo – chiamato a rappresentare la minoranza al tavolo del partito sulla legge elettorale – giunse a un accordo sulle modifiche da apportare all’Italicum e annunciò il suo Sì al referendum. Intesa mai benedetta da Bersani e Speranza che insieme ad altri parlamentari – tra cui Miguel Gotor – hanno fatto campagna elettorale attiva contro la riforma Boschi-Renzi. La loro avversità nei confronti di Renzi – che, peraltro, li ricambia senza troppe cortesie – è totale, e potrebbe persino portare a una scissione del Pd. Non può meravigliare quindi che anche in questa fase abbiano assunto una posizione antitetica a quella del presidente del Consiglio: quest’ultimo vuole andare al voto il prima possibile mentre loro puntano a prendere tempo, magari per logorarlo un altro po’.
LE ALTRE CORRENTI
A completare il quadro ci sono poi altre correnti che potrebbero definirsi minoritarie almeno dal punto di vista dei numeri. Rete Dem è formata dai cosiddetti ex civatiani che però non hanno seguito Pippo Civati in Possibile: ne fanno parte, tra gli altri, la prodiana Sandra Zampa e il senatore Sergio Lo Giudice. Ci sono poi i popolari guidati dall’ex ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni, i quali non possono essere annoverati tra i renziani pur avendo sempre sostenuto le scelte del presidente del Consiglio, dalle decisioni di politica economica alle riforme istituzionali. Un punto interrogativo in questo senso per Renzi sono però i rapporti con il vecchio compagno di partito nella Margherita Franceschini.
GLI OUTSIDER
Infine non mancano i cosiddetti outsider: formalmente fuori dalle varie correnti, ma con un rilevante peso specifico anche in termini di consenso personale, che inevitabilmente faranno pesare in questa fase così caotica. Un esempio in questo senso è il governatore della Toscana Enrico Rossi che ha già ufficilizzato da mesi la sua candidatura per la segreteria del Pd. Al referendum ha votato Sì, pur criticando molte delle misure adottate dal governo Renzi. Si è invece battuto come un leone per il trionfo del No il governatore della Puglia ed ex sindaco di Bari Michele Emiliano, in prima fila contro il premier anche nel referendum sulle trivelle dello scorso aprile. Un ruolo da protagonista cercherà di giocarlo di sicuro: potrebbe essere lui, infatti, l’uomo a cui Bersani e Speranza si rivolgeranno quando si tratterà di sfidare Renzi alle primarie del Pd per la scelta del nuovo segretario e candidato premier.