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Che cosa si sa della strage jihadista Londra

Londra

Mercoledì 22 marzo c’è stato un attentato nel centro di Londra: quattro persone, compreso l’attentatore, sono rimaste uccise, quaranta ferite, alcune in modo grave. La polizia è ancora all’inizio delle indagini, ma ci sono elementi chiari e altre speculazioni possibili stando ai fatti.

L’AZIONE

Una dozzina di minuti prima delle tre del pomeriggio un’auto si è lanciata sulla folla di Westminster Bridge, che si trova in una delle zone centrali della capitale inglese. Dopo aver svoltato a sinistra per scendere dal ponte, il Suv (una Hyundai i40) si è fermato davanti al Carriage Gate, uno dei cancelli d’ingresso della House of Parliament – il palazzo di Westminster che si staglia lungo il Tamigi e che ospita i due rami del parlamento inglese. Da lì il conducente è sceso armato di due coltelli da cucina, ha colpito un poliziotto uccidendolo (erano polizia ordinaria, dunque disarmati), prima di essere stato lui stesso freddato da un altro funzionario della sicurezza, in borghese. Gli agenti si trovavano nel perimetro interno del palazzo parlamentare, il cancello pedonale da cui è entrato l’attentatore era aperto. La polizia, dopo un’iniziale definizione di “sparatoria”, l’ha chiamato direttamente “un attacco terroristico”, anche perché gli unici colpi di arma da fuoco sparati sono stati quelli dell’agente che ha freddato l’aggressore (una alla gamba e due al tronco, così pare dai racconti di Guido Vianello, pugile italiano oro olimpico nel 2016 che stava uscendo da una cerimonia nel palazzo parlamentare e si è trovato “a non più di dieci metri” dalla scena, ha raccontato ai microfoni di Sky Tg24).

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LA REAZIONE

Definire una situazione del genere “attacco terroristico” comporta una procedura di reazione immediata che il Regno Unito sta mettendo a punto, anche con esercitazioni rocambolesche lungo l’asta del Tamigi come quelle viste in questi giorni, da quando altri capitali europee sono finite sotto attacco. Il pensiero va a Parigi nel 2015 o a Bruxelles nel 2016, di cui proprio il 22 marzo ricorreva l’anniversario: ma i metodi messi in atto, sembrano diversi (ci si tornerà). La reazione delle squadre di pronto intervento è stata rapida: nel giro dei primi minuti i testimoni segnalavano l’ingresso in Parlamento di una dozzina di uomini in assetto da combattimento (giubbotto antiproiettili, elmetti e armi in pugno), anche se alcuni ancora in abbigliamento casual. Sono la forza di reazione immediata creata proprio dopo i fatti di Parigi. Una speciale unità della polizia che ha il compito di approcciare queste situazioni con lo spirito con si vive una battaglia in guerra: sparano a vista contro potenziali sospetti. La premier Theresa May, che si trovava in parlamento, è stata evacuata su una Jaguar nei primissimi minuti dell’accaduto: gli altri parlamentari sono stati bloccati all’interno delle aule, probabilmente protetti dalle squadre speciali.

IL CONTESTO

In una dichiarazione ripresa faziosamente dal figlio maggiore del presidente americano Donald Trump, Jr, il sindaco di Londra Sadi Khan aveva spiegato – a settembre scorso – che vivere in una grande città ormai comporta anche convivere con l’idea che possano avvenire attacchi terroristici, e questo significa che l’approccio a certe situazioni deve diventare una questione culturale: i cittadini hanno il dovere di sapere come comportarsi, tanto quanto le squadre di soccorso, e deve esserci collaborazione tra polizia e la gente. Mercoledì a Londra c’è stato uno straordinario esempio di questo: mentre dalle eliambulanze scendevano i paramedici in assetto da teatro di guerra, le persone in strada prestavano i primi soccorsi ai feriti (anche solo una mano stretta per far sentire vicinanza, empatia, tra vittime di uno stesso dramma); ha fatto il giro del mondo la faccia insanguinata e gli occhi attoniti per la disperazione di Tobias Elwood, sottosegretario di Stato per l’area MENA (Middle East e North Africa) ed ex capitano delle Royal Green Jacket, che ha praticato, purtroppo inutilmente, il massaggio cardiaco a un poliziotto accoltellato davanti all’ingresso delle camere (l’agente è poi deceduto).

IL TIPO DI ATTACCO

Ma, nonostante l’allerta in Inghilterra fosse alta e le operazioni anti-terrorismo giornaliere (anche ieri, vari arresti a Birmingham, centrale culturale del radicalismo islamico inglese, dove pare sia stato affittato il veicolo-arma), prevenire un certo genere di attacchi è molto complicato. Londra conosce la prassi, ha subito un massiccio attentato per mano di al Qaeda nel 2005, un attacco molto simile a quelli di Parigi e Bruxelles (organizzati tra i centri di comando di al Bab e quelli di addestramento di Raqqa, in Siria, dallo Stato islamico, terribile spin-off qaedista diventato, è noto, più forte della base di partenza). Operazioni diverse da quella di mercoledì. Se si volesse invece cercare una qualche similitudine, piuttosto si dovrebbe andare indietro al 2013, quando – era maggio – due jihadisti uccisero il soldato Lee Rigby su un marciapiede di Woolwich, sobborgo di Londra. Anche in quell’occasione Rigby fu prima colpito con un’auto e poi finito con un coltello in una sequenza tragica in cui uno dei due carnefici veniva ripreso con addosso il sangue dell’inglese mentre farneticava frasi sconnesse. I due avevano contatti con predicatori qaedisti yemeniti, la centrale per gli attacchi all’estero (ispiratori e addestratori dei fratelli che hanno colpito Charlie Hebdo, per esempio, e autori di congegni esplosi molto tecnologici che in questi giorni stanno tornando di moda perché leggi americane e inglesi hanno proibito di portare alcuni tipi di device a bordo degli aerei). Gli assassini di Rigby avevano però anche contatti con un inglese vicino all’Isis.

GLI ISPIRATORI

L’attentato di mercoledì segue un copione nel tempo diventato noto: l’azione eseguita con le armi, improprie, che tutti possono avere a disposizione, un’auto e i coltelli. Al Qaeda e lo Stato islamico da tempo consigliano questo genere di modus operandi perché permette al singolo – al cosiddetto “lupo solitario”, magari autoradicalizzato, ma molto spesso seguito a distanza da predicatori, suggeritori, indottrinatori – piena libertà. Di più: permette di passare sotto traccia, perché una cellula che pianifica un attacco dà segnali molto più visibili dello schizzato che decide l’azione dal garage di casa, prendendo le armi in cucina. Hamas, il gruppo integralista combattente che governa la Striscia di Gaza e che miete vittime israeliane, è stato uno dei precursori di questo genere di attentati. Un anno e mezzo fa assistevamo alla cosiddetta Knife Jihad, la jihad dei coltelli, dove l’arma bianca prende anche un significato simbolico: è l’arma con cui si compiono i sacrifici, un feticcio mostrato continuamente dagli uomini dei gruppi fondamentalisti islamici che vanno in video a minacciare gli infedeli.

Finora l’attacco di Londra non è stato rivendicato, anche se i fan del Califfato, tanto quanto i qaedisti, sui social network hanno postato messaggi di compiacimento, Big Ben in fiamme, minacce all’Occidente. Atteggiamento classico, come l’attacco: per esempio, una cosa del genere è avvenuta pochi mesi davanti all’Università statale dell’Ohio. La polizia dice di conoscere l’identità dell’assalitore, ma la rivelerà solo al momento opportuno: chiunque sia l’attentatore “malato e depravato”, come la ha definito la premier May in conferenza stampa, l’ispirazione è comunque chiara.

 

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