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Vi spiego tutte le mosse di Donald Trump al G7 di Taormina

Il G7 di Taormina rimarrà segnato nella Storia per le profonde cesure negli equilibri geopolitici e della globalizzazione economica che faranno da sfondo al Summit: insieme al Mediterraneo, un mare di migranti e naufragi, c’è il bilancio deludente del duplice mandato di Barack Obama, che aveva come strategia la globalizzazione della democrazia e del mercato.

Il “Nuovo inizio” nei rapporti con il mondo islamico presupponeva l’abbattimento dei regimi illiberali: determinano la nascita di opposizioni che, per sopravvivere, devono necessariamente ricorrere alla violenza e al terrorismo. Quest’ultimo, poi, si rivolge contro l’Occidente, accusato di sostenere i regimi-fantoccio. C’erano due trattati di liberalizzazione commerciale, poi, da stipulare: Tpp e Tiip, che avrebbero legato ulteriormente gli Usa ai tradizionali alleati dell’Atlantico e del Pacifico, scavalcando il multilateralismo del Wto ed isolando contemporaneamente Cina e Russia. Quest’ultima sarebbe stata ricondotta ad un alveo solo regionale, per via delle sanzioni derivanti dalla annessione della Crimea determinate dalla crisi ucraina, e della impraticabilità di Afganistan ed Iraq. La Via della Seta, a sua volta, sarebbe stata difficilmente percorribile. Di converso, la mano tesa all’Iran avrebbe dimostrato l’insussistenza di uno scontro di civiltà tra Occidente ed Islam.

In concreto, le primavere arabe hanno determinato il caos, dalla Libia all’Egitto, e dallo Yemen alla Siria. Tra quest’ultima e l’Iraq si è insediato l’Isis, interrompendo la continuità della influenza sciita, di matrice iraniana, che trova appoggi in Russia e Cina. Sovviene la strategia inglese durante la Prima guerra mondiale, con la creazione di una armata araba per contrastare l’impero ottomano alleato della Germania, facendo leva sull’unica affinità esistente tra le tribù arabe: l’islamismo. Stavolta, il sostegno sunnita in funzione anti-sciita, e l’interesse diretto della Turchia in diversi scacchieri, inestricabile il quadro di riferimento. Gli interventi militari dell’Occidente hanno rinfocolato il terrorismo, che ha colpito in particolare la Francia e di recente anche la Gran Bretagna, i due Paesi che più si sono distinti nell’impegno. Mentre la democrazia è rimasta un miraggio, la statualità preesistente si è polverizzata.

Neppure i due trattati di liberalizzazione sono arrivati in porto: se l’amministrazione Trump ha ritirato dal Congresso la ratifica dell’Accordo Trans Pacifico che era già stato firmato, il Tiip si era già arenato per il mancato accordo tra le due sponde dell’Atlantico.

L’lezione di Donald Trump ha rappresentato una svolta su due questioni che nel lungo periodo si sono dimostrate sfavorevoli agli Usa: l’impoverimento del tessuto produttivo per via dei trattati commerciali che hanno messo in competizione sistemi-Paese con livelli retributivi, di protezione sociale ed ambientale incomparabilmente diversi; l’eccessivo onere delle spese militari necessarie ad assolvere al ruolo di gendarme del mondo. Nonostante il dollaro e l’eccezionalismo monetario, l’America non riesce a prosperare. Né può sostenere da sola il costo di superpotenza globale.

Il primo viaggio all’estero di Donald Trump, con tappa a Rijad, ha avuto un obiettivo opposto rispetto a quello perseguito da Barack Obama nel giugno 2009: con il suo discorso all’Università del Cairo delegittimò senza rimedio il leader egiziano Hosni Mubarak. Trump, invece, ha fatto chiamare a raccolta ben cinquantaquattro leader di Paesi con popolazione musulmana, esortandoli ad unirsi in alleanza militare, una sorta di “Nato araba”, per combattere il terrorismo. È questo, non l’Islam, il nemico comune. È l’Iran, invece, che fomenta dovunque disordini ed instabilità. Con l’Arabia Saudita, gli Usa hanno poi concluso un accordo di forniture militari per 110 miliardi di dollari, che arriveranno a 350 miliardi. Così facendo, Trump ha rassicurato Israele, che da sempre teme la prospettiva di una atomica iraniana, e che per questo è stata contraria all’accordo con cui Barak Obama ha tolto a Teheran sanzioni ormai quarantennali, senza però rimanere legato alla sola alleanza con Tel Aviv: la sicurezza di Israele coincide con quella dell’intera area. L’obiettivo americano non è più quello di esportare la democrazia; il nemico comune è il terrorismo e non lo si può vellicare neppure in funzione anti-sciita; la sicurezza è un onere a cui tutti devono contribuire. Una Nato araba può schierarsi: la pace in Siria è ancora lontana. A Bruxelles, la Nato prende atto della nuova strategia e della necessità che ognuno faccia la sua parte, non solo finanziariamente. I rapporti con la Russia rimangono nel congelatore.

Al G7, si discuterà del riequilibrio euro-dollaro. La Germania ci sta, facendo pagare il conto a Francia ed Italia. La Ue è divisa, e non ha la forza dell’America, neppure di quella al collasso del ‘71: l’euro è la nostra moneta, e rimane un nostro problema.



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