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Vi racconto divisioni e malumori nel Pd di Matteo Renzi

ANDREA ORLANDO

Renzi prima non ha fatto i conti con i cittadini che per il 60 per cento gli hanno detto no al referendum costituzionale, poi ha perseverato nello stesso errore e non ha fatto i conti neppure con i parlamentari, a cominciare dai suoi. Questi sono sempre quelli che affossarono Prodi…”, commenta secco un deputato dell’area governativa.

Dopo il patatrac nella votazione sui due emendamenti dei Cinque Stelle e di Michaela Biancofiore (di Forza Italia, ma in contrasto con il suo gruppo) sui collegi del Trentino Alto Adige, che ha fatto saltare l’accordo sul Germanellum, nel Transatlantico di Montecitorio si è riaffacciato lo spettro della carica dei 101 che affossò la candidatura al Colle di Romano Prodi. E anche stavolta, seppur con responsabilità distribuite in modo trasversale, pare che anche il Pd, come per un riflesso automatico rispetto a quella storiaccia del 2013, quanto a franchi tiratori la sua mano la abbia data.

Il pentastellato Danilo Toninelli, in una giornata andata avanti in un continuo rimpallo di responsabilità, ha messo nel mirino a caldo addirittura “80 franchi tiratori del Pd”. Non è così. Ma sembra, secondo i primi calcoli fatti in Transatlantico, che una quarantina invece potrebbero essere stati i disobbedienti. Che certamente ci sono stati anche dentro gli altri partiti come Forza Italia. Ma anche il Pd in quei 59 voti venuti meno contro gli emendamenti gemelli del patatrac un suo peso lo avrebbe avuto. Chi erano? I sospetti si sono subito appuntati sugli orlandiani, ovvero i seguaci del ministro Andrea Orlando, che non ha mai fatto mistero di essere contrario al Germanellum. E il cui faro politico e intellettuale, Giorgio Napolitano, proprio pochi giorni fa ha fatto un’uscita dai toni durissimi contro l’ipotesi di elezioni anticipate, criticando anche l’intesa sulle regole elettorali con la quale ci si sarebbe arrivati. Ma la sortita del presidente emerito è stata preceduta da un fuoco concentrico di critiche da sinistra che hanno registrato anche quelle di big come Romano Prodi e Walter Veltroni.

“Ma gli orlandiani non sono così numerosi almeno alla Camera, io andrei a guardare anche in aree ex Dc del Pd…”, dice un deputato dem. Girano le voci più contrastanti e magari anche leggende, come quelle secondo le quali anche i seguaci del ministro Dario Franceschini (il quale tra Camera e Senato conta molti più parlamentari di Orlando) avrebbero esercitato il loro peso nel far deragliare un treno che stava correndo spedito verso le elezioni anticipate del 24 settembre, obiettivo sempre attribuito a Matteo Renzi, seppur lui abbia sempre smentito. E addirittura circolano altre voci secondo le quali tra quei franchi tiratori ci potrebbero essere anche alcuni degli stessi renziani, per poter far precipitare le cose, dare tutta la colpa ai Cinque Stelle, e, dopo aver solennemente affermato che il Pd ce l’ha messa tutta, andare al voto con il sistema elettorale uscito dalla sentenza della Corte costituzionale.

Forse sono interpretazioni fantapolitiche, chissà. E come accadde già con i 101, che tagliarono la strada per il Colle a Prodi, non si avrà mai la prova di come sia veramente andata. Ma è un fatto che ieri nel Transatlantico di Montecitorio il commento più gettonato fosse: “Ora possiamo pensare a prenotare le vacanze di agosto”. Perché ora il voto anticipato sembra allontanarsi. Lorenzo Guerini, plenipotenziario renziano, ha detto chiaramente che non resta che andare al voto con il “Consultellum”. Che però per diventare applicativo necessita almeno di un decreto che armonizzi con un ritocco i sistemi di voto tra Camera e Senato. E il Colle sarà d’accordo?  Una secca nota di agenzia di stampa ieri sera ha fatto sapere che dal Quirinale si segue “con preoccupazione lo stallo del dialogo tra le forze politiche”.

E Silvio Berlusconi, dopo sembra una prima arrabbiatura con la sua deputata “ribelle” Biancofiore, ha cercato subito di passare all’incasso almeno sul no a questo punto al voto anticipato, ribadendo per senso di “responsabilità” che  il dialogo sulla legge elettorale deve andare avanti. Infatti, ha rimarcato l’ex premier che le “elezioni senza una legge elettorale omogenea e adeguata sono molto difficili, pur a fronte della crisi politica in atto”. Interessato in realtà all’ottenimento del sistema proporzionale e non invece al voto anticipato, il presidente di Forza Italia coglie evidentemente la palla al balzo avvertendo Renzi che senza il proporzionale lui non è più disposto a seguirlo sulla strada del voto anticipato.

Resterebbe però il Consultellum che sarebbe un proporzionale di fatto, dal momento che nessuna forza politica molto probabilmente raggiungerà quella fatidica soglia del 40 per cento prevista dall’Italicum, senza più ballottaggio. Solo che nel sistema elettorale uscito dalla sentenza della Corte costituzionale ci sono lo sbarramento dell’8% al Senato e anche le preferenze, invise a Berlusconi. Che nel frattempo sta a guardare perché tanto ora, commenta secco un deputato azzurro, “sono problemi di Renzi e tra lui e il Colle”. E intanto dal medesimo Colle – che si dice preoccupato per lo stallo – filtrano anche indiscrezioni secondo le quali è necessario ancora il dialogo e quindi ancora del tempo. E così il voto a settembre sembra allontanarsi.

“Se siete finiti a meno 15 o 20 vi siete autoscherzati”, è stato l’arguto epitaffio di Daniele Capezzone (con Raffaele Fitto in Direzione Italia). Conti alla mano della larga maggioranza sulla carta delle forze “nazarene” dell’accordo, Capezzone ha puntato l’indice contro il Pd accusato di essersi “autoaffossato”. Anzi “autoscherzato”.



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