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Con la Cina Trump allarga lo scontro commerciale. Così i falchi colpiscono Pechino

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Donald Trump allarga il fronte dello scontro sui dazi commerciali. Dopo il blitz su acciaio e alluminio (qui lo speciale di Formiche.net) adesso nel mirino della Casa Bianca è finita nientemeno che la Cina. L’amministrazione Trump sta infatti seriamente considerando la possibilità di imporre una serie di dazi e altre misure punitive, per un valore di 60 miliardi di dollari, contro la Cina per presunti furti di proprietà intellettuale.

L’ufficio del rappresentante commerciale degli Stati Uniti ha presentato una proposta alla Casa Bianca chiedendo dazi su una vasta gamma di prodotti cinesi, nonché restrizioni sugli investimenti da parte di società cinesi negli Stati Uniti e limiti sui visti per alcuni cittadini cinesi. Secondo il Nikkei Asian Review, che ha citato fonti vicine al commercio internazionale, i dazi non riguardano solo prodotti tecnologici cinesi, che sono spesso oggetto di furto di proprietà intellettuale, ma anche beni di largo consumo, come gli abiti. I presunti furti di proprietà intellettuale da parte della Cina sono da tempo fonte di tensione tra Pechino e Washington. Gli Stati Uniti si oppongono anche alle regole di investimenti cinesi che obbligano le società statunitensi a trasferire tecnologia in Cina per fare affari in quel Paese.

Lo stessoTrump ha spesso bacchettato la Cina per pratiche commerciali sleali durante la campagna elettorale. Nell’agosto scorso, il rappresentante degli Stati Uniti per il commercio Robert Lighthizer ha avviato un’indagine, ai sensi dell’articolo 301 della legge commerciale di Washington, per determinare se le pratiche cinesi relative ai trasferimenti di tecnologia e alla proprietà intellettuale discriminavano gli Stati Uniti o limitavano gli affari delle sue imprese.

Non è allora forse un caso se la stampa cinese, all’indomani del maxi riassetto burocratico, teme improvvisamente il prevalere dei falchi nell’amministrazione statunitense, dopo l’esautoramento di Rex Tillerson dalla carica di segretario di Stato. La rimozione di Tillerson occupa la prima pagina all’edizione di oggi del popolare tabloid Global Times, pubblicato dallo stesso Quotidiano del Popolo, organo di stampa del Partito Comunista cinese, con una foto che ritrae i volti del segretario di Stato uscente e di quello entrante sotto la scritta “porta girevole”, mentre l’opinione dell’influente giornale di Pechino è affidata, nella mattina di oggi, alla versione on line.

A stretto giro di posta è arrivata la risposta cinese, per bocca del portavoce al dipartimento del commercio, Sun Jiwen. “La Cina si oppone fermamente all’aumento del protezionismo e prenderà tutte le misure necessarie per difendere gli interessi legali delle sue aziende esportatrici. Il governo lancerà negoziati diplomatici e spingerà per il dialogo e la cooperazione”. E questo perché “le relazioni commerciali tra Cina e Usa non dovrebbero essere un gioco a somma zero”.



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