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Dal sogno di De Gasperi al summit nel Regno Unito. La Comunità politica europea vista da Garonna

Di Paolo Garonna

Il prossimo summit della Comunità politica europea (Cpe) si terrà il 18 luglio al Blenheim Palace. La diplomazia italiana potrà svolgere un ruolo significativo nel portare all’attenzione della comunità pan-europea i problemi dell’Euromediterraneo a partire dai conflitti in corso nella regione, alle esigenze di cooperazione tra la sponda nord e quella sud, ai programmi di ricostruzione e di sviluppo dei Paesi dell’area molto esposti alle transizioni digitali, ambientali e sociali dell’intera area paneuropea. L’analisi di Paolo Garonna, professore di economia alla Università Luiss e presidente della European League for Economic Cooperation – Italia

Il prossimo summit della Comunità politica europea (Cpe) si terrà il 18 luglio al Blenheim Palace, il castello iconico vicino Oxford in cui nacque Winston Churchill, lo statista che nel famoso discorso di Zurigo del 1946 lanciò il programma degli Stati Uniti d’Europa da cui nacque nel dopoguerra il Movimento Europeo e il processo che ha portato all’Unione Europea (Ue) dei nostri giorni. La Cpe è il nuovo forum intergovernativo creato su iniziativa francese dopo la Conferenza sul futuro dell’Europa e l’invasione russa dell’Ucraina.

La sua prima riunione si tenne a Praga nel 2022 con la partecipazione di un ampio spettro di paesi dell’Europa allargata, la “Grande Europa”. Questo quarto summit si terrà pochi giorni dopo le elezioni del 4 luglio nel Regno Unito (Ru) e fornirà quindi subito un’indicazione dell’approccio del nuovo governo britannico alle questioni europee. Al summit è prevista la partecipazione di una cinquantina di paesi a partire dai paesi della Ue e i paesi candidati all’accesso, compresa l’Ucraina, la Turchia e i Balcani, e altri paesi Europei “che condividono i nostri valori fondamentali”. Il criterio della membership della Cpe sta quindi solo sulla coerenza dei valori mentre il concetto di Europa è giustamente e flessibilmente lasciato indeterminato per evitare pregiudizi e discriminazioni.

Tra i 47 Paesi invitati ai summit precedenti (dal paese ospite e dal Presidente del Consiglio Europeo) troviamo l’Azerbaijan e la Svizzera, l’Armenia e San Marino, la Georgia e il Lichtenstein, la Bosnia e l’Islanda. Restano invece escluse la Russia e la Bielorussia per l’assenza di valori condivisi. Come sempre in questi vertici intergovernativi informali, che non dipendono, cioè, da un Trattato, il paese ospitante svolge un ruolo chiave. Correttamente, quindi, il primo ministro uscente del Ru Rishi Sunak ha indicato i temi per lui prioritari, e cioè l’Ucraina e l’immigrazione clandestina, ma ha lasciato spazio anche agli altri paesi per indicare i loro requirements.

Nei vertici precedenti, hanno dominato la discussione i conflitti in corso e le urgenze economiche, come il sostegno all’Ucraina, la sicurezza energetica e il conflitto nel Caucaso. Anche se il Ru cerca di evitare ogni riferimento ai simboli (per esempio bandiera e inno europei) e all’agenda politica della Ue, sarà inevitabilmente quest’ultima a focalizzare l’attenzione dei partecipanti: dopo che si è sbloccata la prospettiva dell’allargamento, la Cpe è destinata a svolgere un ruolo prezioso di “anticamera” e di preparazione ai nuovi ingressi e alle potenziali candidature promuovendo il contatto personale e il dialogo ravvicinato tra capi di stato e di governo.

In questo quadro si aprono per il nostro Paese opportunità e compiti di particolare rilievo. Sulla scia del successo e delle aperture ottenute nell’incontro del G7 a Borgo Egnazia, è necessario anche in questa riunione far valere i nostri specifici obiettivi ed interessi volti a centrare l’attenzione europea verso l’Euromediterraneo e il vicinato meridionale, come siamo riusciti a fare in Puglia con il cosiddetto Piano Mattei per l’Africa. Le prospettive di allargamento e di partenariato, infatti, tendono oggi a privilegiare l’Europa dell’Est trascurando la dimensione meridionale dell’integrazione europea. Se guardiamo all’esperienza del vertice G7 a guida italiana, notiamo che su iniziativa del nostro paese hanno partecipato al G7 alcuni significativi paesi dell’area Euromediterranea come l’Algeria, la Tunisia, la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti, oltre alla Banca Africana di Sviluppo e all’Unione Africana.

La loro presenza al G7, oltre a quella di grandi economie emergenti come India, Brasile, Turchia, Kenya e Argentina, ha dato un segnale importante di come questo gruppo di paesi possa e debba evolvere verso la promozione di una governance globale multipolare fondata sul consenso, sulla cooperazione e sui valori universali della comunità internazionale. Da questo punto di vista la presenza formale della Santa Sede, e quella personale di Papa Francesco, ai lavori del vertice del G7 ha assunto un particolare valore e un significato storico importantissimo, confermato successivamente dalla partecipazione del Segretario di Stato vaticano alla Conferenza di pace di Lucerna del 17 giugno.

Nei secoli la partecipazione dei Pontefici alle conferenze di pace aveva svolto un ruolo essenziale dato il diffuso riconoscimento alla Santa Sede di un ruolo di guida etica universale. In seguito, dalla Conferenza di pace di Versailles in poi, in base ad un malinteso senso della laicità delle sovranità nazionali, i Pontefici non sono stati più invitati. È interessante notare che alla fine della Prima guerra mondiale fu proprio il Governo italiano a pretendere l’esclusione della Santa Sede dalla Conferenza di pace. Quindi in Puglia è maturata una chiara e opportuna nemesi storica.

Torniamo al vertice della Cpe al Bernheim Palace. La diplomazia italiana può svolgere un ruolo significativo nel portare all’attenzione della comunità pan-europea i problemi dell’Euromediterraneo a partire dai conflitti in corso nella regione, alle esigenze di cooperazione tra la sponda nord e quella sud, ai programmi di ricostruzione e di sviluppo dei paesi dell’area molto esposti alle transizioni digitali, ambientali e sociali dell’intera area paneuropea. A tal fine aprire il vertice alla partecipazione dei paesi euromediterranei tra cui quelli già coinvolti a borgo Egnazia sarebbe di grande importanza. Si potrebbe coinvolgere il Marocco, che già dal 1987 aveva presentato domanda di adesione alle Comunità Europee, l’antenato della Ue in quel tempo.

C’è poi il caso di Israele e della Palestina, la necessità di promuovere la risoluzione dei conflitti, la prospettiva dei due Stati, etc., tutte questioni su cui l’Ue e l’Europa allargata rappresentata dalla Cpe potrebbero e dovrebbero giocare un ruolo più attivo nel quadro dell’integrazione e della cooperazione Euromediterranea. Teniamo conto, inoltre, che a Londra opera la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Berd); nata dopo il crollo del muro di Berlino si era inizialmente focalizzata sul sostegno alla transizione verso l’economia di mercato dei paesi a economia pianificata. Ma, anche in seguito al rifiuto dei paesi anglosassoni di creare una Banca di sviluppo Euromediterranea, ha allargato le sue attività verso il Mediterraneo e l’Africa.

Oggi la Bers ha raddoppiato la sua membership contando ben 71 paesi membri, tra cui molti paesi euromediterranei e africani. Per la presenza tra i suoi azionisti di Stati Uniti e Cina oltre che dei paesi dell’Ue e dei paesi candidati, e per la sua apertura alla collaborazione con il settore privato, la BERS gioca e ancor più potrebbe giocare un ruolo importante nell’aprire alla cooperazione europea il grande spazio del sud Mediterraneo e del vicinato africano. L’Italia per la sua collocazione geografica e per le sue tradizioni culturali ha una particolare sensibilità su questi problemi e dovrebbe farla valere nel confronto e nel dialogo con gli altri partner europei.

Questo d’altronde era già avvenuto nel caso del precedente storico significativo della Cpe degli anni Cinquanta, il progetto, cioè di Comunità Politica Europea elaborato in quel periodo. Alcide De Gasperi e tutto il governo italiano giocarono un ruolo da protagonista, quando di fronte all’impantanarsi del Consiglio d’Europa in procedure intergovernative deboli ed inefficaci, furono i leader dei 6 paesi fondatori a decidere di andare avanti nella direzione sovranazionale creando la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (la Ceca) e il progetto di Comunità Europea di Difesa (la Ced). Era allora forte la convinzione dei principali leader formatisi nell’esilio e nella resistenza al nazifascismo che per far radicare la pace e assicurare un futuro di prosperità all’Europa occorressero significativi trasferimenti di sovranità dal livello nazionale a quello comunitario a partire dalla politica estera, di bilancio e di difesa.

Fu proprio De Gasperi insieme a Schuman a prendere allora l’iniziativa per mettere insieme i progetti di integrazione “funzionalista” in settori specifici (come la Ceca e la Ced) in un quadro più ampio in cui fosse la politica a guidare l’economia, la finanza e la difesa con un’impostazione democratica in cui un’assemblea parlamentare eletta a suffragio universale e un esecutivo che decide a maggioranza qualificata e non all’unanimità assicurassero una governance efficace e sostenuta dal consenso popolare. Da qui nacque nel 1952 il progetto di Cpe che doveva rappresentare una sorta di Costituzione europea capace di sostenere e guidare i futuri passi nella direzione della costruzione europea.

A questa idea De Gasperi dedicò la sua azione e passione politica negli anni dal 1952 al 1954 e l’ultima parte della sua vita. Purtroppo, la decisione francese di affossare la Ced travolse anche la Cpe, di cui la Ced era una componente essenziale, e quindi l’integrazione europea seguì il metodo di Jean Monnet facendo leva sul dialogo intergovernativo e sulla strategia dei piccoli passi in avanti. Ma tutti i nodi vengono al pettine e le questioni fondamentali che De Gasperi con Adenauer, Schuman, Spaak e gli altri leader europeisti di quella generazione affrontarono, tornano oggi di bruciante attualità dopo le elezioni europee del giugno 2024 e di fronte alle drammatiche necessità che la guerra, anzi le guerre in corso nell’Euromediterraneo, e le necessarie transizioni economiche e tecnologiche da cui siamo investiti esigono.

Qualcuno ha detto, afferma De Gasperi nel 1950, “che la federazione europea è un mito. È vero, è un mito nel senso soreliano. E se volete che un mito ci sia, ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù … il mito della dittatura? Il mito della forza? il mito della propria bandiera? … Ma noi allora creeremmo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico che questo mito è un mito di pace; questa è la pace, questa è la strada che dobbiamo seguire.” (in De Gasperi, L’Europa. Scritti e discorsi, Brescia, Morcelliana, 2004, p.100)

E in un’altra occasione commentava: “Il guaio è che abbiamo troppi uomini che non credono nell’unità dei popoli europei. Non hanno fede e una soluzione così grave non verrà fuori soltanto dalle carte diplomatiche. Anzi, è proprio di fronte a certi problemi sostanziali che attorno al tavolo della grande responsabilità bisogna che scompaiano i diplomatici per ritrovarsi gli uomini. E non è possibile servirsi di un problema di sostanza come merce di mercato elettorale, pubblicitaria, o di un do ut des per mantenere in piedi i governi.” (M.R. De Gasperi, De Gasperi uomo solo, Mondadori, Milano, p.412)

Certamente oggi la Cpe, malgrado lo stesso nome, è profondamente diversa da quella che sognarono De Gasperi, Einaudi e i federalisti del dopoguerra. Ma non credo che il presidente Macron quando propose e chiamò con questo nome la nuova organizzazione, un nome così carico di riferimenti e significati, sia incorso in una svista storica o abbia voluto fare dell’ironia. I riferimenti culturali sono troppi per pensare che tutto sia frutto di casualità e coincidenze.

Anche il fatto che la prima riunione della Cpe si sia tenuta a Praga nel 2022 richiama il precedente delle assise della Confederazione Europea convocate a Praga da Francois Mitterrand nel 1991 per decidere il futuro europeo dei paesi liberati dal dominio sovietico, anch’esse naufragate di fronte alle resistenze dei governi nazionali. Forse anche il presidente francese e gli altri leader nazionali, compreso il nuovo governo britannico che nascerà dalle prime elezioni parlamentari post-Brexit, sono alla ricerca di nemesi storica per le occasioni mancate del passato. Blenheim quindi potrebbe dover fare i conti con i corsi e ricorsi dell’institution building europeo avviando un processo che possa chiudere il cerchio degli errori del passato.
Anche per questo, il summit della Cpe del 20 luglio 2024 è un appuntamento da non sottovalutare.

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