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Alessandro Di Battista non scalzerà Luigi Di Maio come leader M5S. Parla il prof. Becchi

becchi

Sono convinto che dopo il comizio di Nettuno di ieri sera non sia cambiato assolutamente nulla nel M5S. Grillo sta provando ad incollare i cocci di un movimento sempre più diviso. Diciamo che sta agendo come una specie di vinavil: la definirei Grillovil“. Paolo Becchi la galassia pentastellata la conosce bene: dei cinquestelle il professore di Filosofia del diritto all’università di Genova è stato uno dei grandi sostenitori ed ispiratori. “Ideologo grillino“, lo hanno definito osservatori e giornali, prima della rottura consumatasi alla fine del 2015. “Sono un’attivista deluso“, dice di se stesso Becchi in questa conversazione con Formiche.net.

Professore, il MoVimento 5 Stelle è sempre quello delle origini che nei momenti di difficoltà torna ad affidarsi ai comizi di Grillo? 

Il suo intervento è servito a mettere una pezza mediatica al gravissimo pasticcio di Roma, ma si tratta di una soluzione soltanto apparente e fittizia. I nodi fondamentali – i problemi veri – rimangono tutti sul tavolo.

Che cosa denota quanto è avvenuto a Roma nell’ultima settimana con i relativi strascichi a livello nazionale?

Il tema vero non è Grillo che si riprende il suo ruolo di leader, ma il movimento che dimostra di essere del tutto privo di testa. I fatti di Roma palesano la mancanza di una regia politica in grado di decidere, mediare e coordinare. In poche parole, evidenziano tragicamente quanto sia stata grave per il M5S la morte di Gianroberto Casaleggio.

In che senso?

Il movimento, oggi, è un organismo senza cervello. Non c’è più un’orchestra che suona all’unisono, ma ci sono solo musicisti che vanno in ordine sparso. Grillo, di certo, non è – e non è mai stato – un direttore d’orchestra, come d’altro canto non può esserlo neppure il figlio di Gianroberto, Davide Casaleggio. Si tratta di una persona tecnicamente molto preparata – che conosce a menadito le regole del web e della comunicazione – ma fare politica è un’altra cosa.

Quel ruolo è sembrato potesse spettare a Luigi Di Maio, che però è stato toccato dalla vicenda romana. Adesso cambierà qualcosa secondo lei?

Non credo proprio, anche se è evidente che Di Maio abbia fatto una pessima figura. Il leader – il candidato in pectore alla presidenza del Consiglio – rimane lui.

Oggi, però, molti quotidiani parlano di un possibile sorpasso di Di Battista ai danni di Di Maio. Che ne pensa?

Ritengo si tratti di ipotesi del tutto errate. Di Battista e Di Maio rimangono in piena sintonia: i loro ruoli sono a tutt’oggi gli stessi che aveva previsto per loro Casaleggio, quasi come fosse un esperimento da laboratorio. Il primo ha la funzione di riempire le piazze, di urlare, sbraitare e dire no a tutto, dall’euro alle Olimpiadi. Il secondo, invece, ha il compito di rappresentare istituzionalmente il movimento: è il vicepresidente della Camera e il candidato pentastellato alla guida del governo del Paese.

Le due anime del movimento, quella “movimentista” e quella “governista”. E’ così?

Più che altro direi che Di Maio e Di Battista – che a quanto mi risulta sono legati da stretti rapporti di amicizia – sono stati letteralmente creati da Casaleggio per rappresentare rispettivamente l’ala destra e l’ala sinistra del movimento. E’ vero, infatti, che i cinquestelle si professano, e sono, post ideologici, ma è altrettanto vero che la funzione esercitata dai due leader serve per prendere voti da una parte e dall’altra, per far assumere al M5S, a seconda dei casi, un posizionamento anziché un altro.

Rimane il fatto che vi sia stata una fuga di notizie dal movimento così inconsueta da far pensare che vi fosse una strategia studiata a tavolino da qualcuno per ridimensionare o danneggiare Di Maio. Qual è la sua opinione?

Ma magari ci fosse una strategia! Il problema è esattamente questo: l’assenza di un qualsivoglia progetto politico condiviso. Ormai vivono alla giornata: un giorno sono a favore  dell’euro e un giorno contro, un giorno non vogliono le Olimpiadi mentre quello dopo forse sì.

Quindi, la pubblicazione testuale sui giornali di email o sms non le fa venire alcun dubbio?

Ignoro come queste conversazioni siano arrivate ai quotidiani. Potrebbe essersi trattato del gesto di un singolo esponente del movimento, ma tendo ad escludere che via sia una complotto interno per colpire Di Maio. Al netto della brutta figura rimediata, resta l’unica carta che i cinquestelle possono giocarsi per arrivare a Palazzo Chigi.

Dunque Di Maio non sarà ridimensionato o sostituito nel suo ruolo di leader?

E’ assolutamente così. Il leader era e resta Di Maio. Il problema semmai è un altro e riguarda la sfida per la guida del Paese che, al momento, vede opporsi il vicepresidente della Camera e Matteo Renzi. Ebbene, non si può non sottolineare come in questa competizione oggi Di Maio abbia perso diversi punti rispetto al presidente del Consiglio. Ora ci vorrà parecchio tempo perché li recuperi e non è neppure detto che accada: dipenderà molto da come andranno le cose a Roma.

E siamo alla durissima crisi che si è abbattuta su Virginia Raggi nell’ultima settimana. Cosa non sta funzionando in Campidoglio?

I problemi sono enormi, ma mi permetto di dire una cosa: lasciassero che il sindaco eletto dalla stragrande maggioranza dei romani governi la città. Non è possibile che per ogni singola decisione Raggi debba interfacciarsi con i cinque del direttorio nazionale, con i quattro del minidirettorio romano, con Grillo, Davide Casaleggio, la piattaforma Rousseau e chi più ne ha più ne metta. Non è accettabile una cosa del genere: tutte le difficoltà nascono da questa situazione. Raggi facesse come Chiara Appendino a Torino, che per prendere una decisione non ha bisogno di consultare questo stuolo infinito di persone.

Raggi non ha il grado di autonomia di Appendino oppure per il M5S Roma è talmente importante da non consentirle di governarla da sola?

Mi pare che Raggi stia in tutti i modi cercando di dimostrare le sue capacità e di garantirsi un po’ d’indipendenza dai vertici del M5S. E’ indubbio, però, che questa situazione dipenda dalla rilevanza nazionale della partita romana, come dimostra quanto successo nell’ultima settimana. Se i cinquestelle si dimostreranno incapaci di governare Roma, sarà poi molto difficile che la maggioranza degli italiani gli accordi la sua fiducia e li chiami a guidare il Paese. E’ con questa paura che convivono da mesi sia Grillo che il direttorio.

Ma la sfida tra Raggi e il direttorio com’è finita? Qualcuno ha vinto o è stato un pareggio?

Sì, direi che in fondo si è trattato di un pareggio. Non penso – come hanno scritto alcuni quotidiani – che abbia vinto Raggi, né, dall’altra parte, che il direttorio sia riuscita a commissariarla. Il sindaco ha dovuto cedere su Raffaele Marra, ma per ora l’ha avuta vinta su Paola Muraro. Per questa ragione dico che è stato un pareggio, anche se la partita ancora non è finita: diciamo che ci vorranno i supplementari per capire come evolveranno i rapporti tra la prima cittadina e il movimento.

Conferma che si tratta di pareggio anche alla luce dell’azzeramento del direttorio romano e della rinuncia a nominare De Dominicis?

Siamo certamente in presenza di un pareggio, ma allo stesso modo è confermato che la partita è tutt’altro che chiusa. Ci saranno altri scossoni nei prossimi giorni: i rapporti tra MoVimento e Campidoglio sono ancora lontani dall’essere stati normalizzati.

E intanto è saltato il secondo assessore al Bilancio nel giro di pochi giorni. Che ne pensa? 

E’ la dimostrazione dello stato confusionale nel quale Virginia Raggi ha operato negli ultimi giorni, anche perché – è bene ricordarlo – ostacolata in tutti i modi dallo stesso movimento. Ora mi auguro che possa essere nominato assessore Nino Galloni, di cui si era già parlato all’indomani del passo indietro di Minenna. Sarebbe il nome perfetto per mettersi alle spalle questa settimana da incubo.

In conclusione, come definirebbe il compromesso che si sta cercando di raggiungere?

Nel mio articolo su Libero l’ho definita una tregua. Ma è qualcosa di più: è una tregua armata, perché la diffidenza reciproca – tra Raggi da un lato e un bel pezzo del MoVimento dall’altro – non è diminuita, ma anzi, forse, è addirittura aumentata.


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