Non ci sono troppi dettagli, ma dal discorso, trasmesso in diretta televisiva, che il presidente americano Donald Trump ha tenuto lunedì sera emerge che gli Stati Uniti aumenteranno il loro impegno in Afghanistan. Il presidente americano ha chiamato il suo approccio “principled realism“, più o meno realismo morale. Ha cercato di incastrare la decisione nelle sue visioni nazionaliste, è stato vago su impegno e aspetti politici dietro al rinforzo militare.
Address to the Nation
Full Video & Transcript:https://t.co/FELdImTuUM pic.twitter.com/6ly3fNatiX— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 22 agosto 2017
I CRUCCI E LA PRESIDENZA
Trump giustifica la scelta, frutto di una complicata revisione che doveva trovare luce a metà luglio e invece si è prolungata per un altro mese. Dice che i suoi soldati resteranno in Afghanistan per combattere il terrorismo che esce dal paese – i Talebani sono tornati all’offensiva, lo Stato islamico vi ha creato una provincia importante, al Qaeda è sempre una minaccia. L’America resta, dunque, ma non certo (sottolinea Trump) per continuare il “nation building“, ossia la costruzione di uno Stato che segue il regime change voluto dalla guerra al terrore dell’amministrazione Bush figlio – quello finirà, ha detto Trump. I due argomenti sono distanti dalla presidenza Trump, portata per istinto e visioni a una linea nazionalista, quasi isolazionista, agli antipodi dell’intromissione interventista negli affari interni di un altro Paese. Anche per questo Trump ha sempre detestato il dossier afghano, perché qualsiasi sua scelta sarebbe stata letta come sbagliata: se si fosse ritirato del tutto, seguendo l’istinto con cui in campagna elettorale aveva definito la guerra (la più lunga della storia americana) un futile spreco di tempo e risorse (“Un disastro totale”), si sarebbe attirato le critiche per aver mollato Kabul in mano al terrore, con potenziali conseguenze sulla sicurezza nazionale statunitense; allo stesso tempo l’aumento delle truppe rischia di passare tra i suoi fan isolazionisti come un impegno globalista. Non sarà un impegno “illimitato”, dice Trump, e Kabul dovrà partecipare all’impegno politicamente, militarmente ed economicamente.
LA VITTORIA
Trump ha ammesso che il rinforzo militare su cui si basa la sua attuale visione è diverso da quello che diceva in campagna elettorale: “Ascoltate questo: siamo in pista per spendere, complessivamente per le guerre in Iraq, Afghanistan e Medio Oriente, 6 trilioni di dollari, con cui avremmo potuto ricostruire il nostro Paese due volte”, disse Trump durante il discorso della convention repubblicana che l’ha incoronato a Cleveland, e “nel frattempo, porzioni massicce del nostro paese sono in uno stato di disperazione totale”. Ma, sottolinea adesso, siamo sempre sul solco dell’America First: “Le nostre truppe lottano per vincere” dice ricordando che “siamo stanchi” di guerre in cui perdiamo. “Da ora in avanti, la vittoria avrà una definizione chiara: attaccare i nostri nemici, eliminare l’ISIS, schiacciare al-Qaeda, impedire ai talebani di assumere il controllo del paese e fermare gli attacchi terroristici di massa contro gli americani prima che avvengano”. L’ambasciatore afghano a Washington ha detto che il suo paese è contento e rassicurato dalla posizione presa da Trump, perché Kabul non voleva avere “un numero” o “un tempo” per nuovi soldati americani, ma voleva un impegno legato a “condizioni sul terreno”. Sulle “condizioni sul campo” ha insistito anche Trump nel suo discorso. E così sarà: un paio di mesi fa Trump ha avallato un piano del Pentagono che prevedeva l’invio di altri 4mila soldati in Afghanistan, ma la Difesa non l’ha mai reso operativo. Il segretario James Mattis voleva che prima l’operazione militare avesse le spalle coperte politicamente, ossia voleva che il presidente includesse l’aumento del coinvolgimento nella sua strategia. Ora saranno i militari a definire il come, il dove, e il quanto del surge trumpiano, ed è anche un ottimo modo per tenere aperta una via d’uscita: se le cose non vanno bene, saranno loro a pagare.