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Ecco da dove arrivano i soldi dell’Isis

Petrolio per 450 milioni di dollari, donazioni per 40 milioni di dollari, e poi tasse e riscatti che portano a un totale di due miliardi di introiti all’anno. Le fonti di finanziamento dell’auto proclamato Stato Islamico dell’Iraq e Siria derivano dal controllo dei territori e dalla vendita di greggio, ma anche da finanziatori esterni che elargiscono cospicue donazioni ai miliziani. I principali paesi che, direttamente o indirettamente, rendono possibili questi passaggi di denaro sono Arabia Saudita, Kuwait, Qatar e Turchia. E’ quanto si evince da report, inchieste giornalistiche e analisi di centri studi.

L’ORO NERO

Sarebbero nove i pozzi di petrolio sotto il controllo di Isis, spiega Il Sole 24 Ore, e porterebbero nelle casse dello Stato Islamico circa un milione di dollari al giorno (circa 450 milioni di dollari stimati per il 2015), come sottolinea anche l’Independent. Il controllo dei giacimenti di petrolio è stato analizzato negli scorsi giorni da un’inchiesta del Financial Times (qui tutti i dettagli) che aveva mostrato come Isis fosse riuscito a mettere in piedi “un’operazione tentacolare simile a quella di una [comune] compagnia statale” nel controllo dei pozzi di petrolio, su cui ora potrebbero iniziare pesare il calo delle quotazioni del greggio e i bombardamenti statunitensi per colpire le autocisterne che lo trasportano (qui tutti i dettagli). Il petrolio è sempre stata una priorità per lo Stato Islamico, su cui si basano molte delle scelte strategiche interne ai territori occupati, come spiegato da Emanuele Rossi su Formiche.net.

DONAZIONI PRIVATE

“Isis è finanziato da individui di 40 Paesi, inclusi alcuni membri del G20”. Vladimir Putin ha chiuso il G20 di Antalya con una stoccata ai Paesi del Golfo – come ha sottolineato Maurizio Molinari su La Stampa – da cui provengono gran parte dei finanziamenti privati destinati a rimpinzare le casse di Isis. Secondo dati raccolti dal Dipartimento di Stato americano a partire dal 2013 – ha aggiunto Molinari – le donazioni private partirebbero principalmente da Qatar e Arabia Saudita e arriverebbero nei conti del Califfato attraverso il sistema bancario del Kuwait. Questi passaggi di denaro sono dovuti, secondo un rapporto del “Brookings Institution” di Washington, alla scarsa presenza di controlli delle istituzioni finanziarie kuwaitiane e nel 2014 avrebbero raggiunto i 40 milioni di dollari, secondo Newsweek .

IL RUOLO DELLA TURCHIA

Ma la stoccata di Putin non era indirizzata solo i paesi del Golfo. Nelle carte del Cremlino, infatti, si troverebbe “un cospicuo numero di turchi” coinvolti nel traffico illegale di greggio e dei suoi derivati proveniente dai pozzi del Califfato. “Sono nomi che in parte coincidono con quelli che le forze speciali Usa hanno trovato nella casa-bunker di Abu Sayyaf – spiega Molinari su La Stampa -, il capo delle finanze di Isis ucciso in un raid avvenuto lo scorso maggio. Abu Sayyaf gestiva la vendita illegale di greggio e gas estratti nei territori dello Stato Islamico – con entrate stimate in 10 milioni al mese – e i trafficanti che la rendono possibile operano quasi sempre dal lato turco del confine siriano”. Gli interessi al sud della Turchia sarebbero però ormai talmente radicati da essere difficili da estirpare se non mettendo in pericolo Ankara, ha spiegato Jonathan Shanzer, ex analista di anti-terrorismo del Dipartimento del Tesoro Usa.

OSTAGGI, TASSE E MERCATO NERO DELL’ARTE

Anche se in minor misura rispetto agli introiti derivanti da donazioni e vendita di greggio, i pagamenti di riscatti sono una grande fonte di finanziamento per Isis. Secondo il Dipartimento americano delle finanze nel 2014 i riscatti avrebbero portato nelle casse del Califfato circa 20 milioni di dollari, che si sommano alle tasse riscosse nei territori controllati dagli jihadisti, estorte alle minoranze religiose costrette a pagare o a convertirsi all’Islam.

E se da una parte i media hanno riportato la distruzione di luoghi di culto e siti archeologici da parte delle milizie jihadiste, più proficuo è certamente il contrabbando di beni archeologici che porta nelle casse del Califfato circa 3 miliardi di dollari all’anno, come spiegato in un articolo di Rossana Miranda per Formiche.net.

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