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Isis, ecco minacce e messaggi lanciati da Dabiq

Una foto che ritrae una barella sorretta da un gruppo di pompieri, ad un angolo di un boulevard. Ai loro piedi lenzuola insanguinate coprono alcuni cadaveri. Poco più in basso, sulla sinistra, una scritta a caratteri cubitali bianchi e rossi ne rivela il messaggio raccapricciante: “Just Terror”. A pochi giorni dai fatti che hanno sconvolto Parigi, e l’Europa intera, l’Isis è tornato con un tempismo da marketing pubblicitario a far sentire la voce ai suoi “lettori”, diffondendo in rete il dodicesimo numero di Dabiq.

IL FOCUS SU PARIGI

Tra i soliti toni sensazionalistici, le foto truculente in altissima risoluzione e l’approccio spiccatamente propagandistico, il magazine del sedicente Stato Islamico riserva la copertina dell’ultimo numero proprio alle stragi dello scorso 13 novembre, di cui ne ribadisce la paternità, cogliendo l’occasione per dare del «codardo» al presidente Hollande e ricordando ai francesi che «l’incubo è solo cominciato».

GLI ALTRI TEMI DEL DODICESIMO NUMERO

Ma i riflettori non sono puntati solo su Parigi. Il commento iniziale della rivista, infatti, è tutto dedicato alla crociata contro la Russia, che avrebbe osato sfidare il Califfato ed è stata pertanto punita con l’abbattimento del Metrojet russo caduto sul Sinai, provocato dall’esplosione di un ordigno artigianale. Nella dodicesima uscita di Dabiq si dà spazio, inoltre, alle immagini degli ultimi due ostaggi uccisi: Ole Johan Grimsgaard-Ofstad, norvegese, e Fan Jinghui, cinese. Ma anche alla rituale chiamata alla armi di simpatizzanti e aspiranti jihadisti.

IL MESSAGGI DI JOHN CANTLIE ALL’OCCIDENTE

Deash lancia minacce a «nemici vicini e lontani», richiama azioni e scenari di guerra, promette altra efferata violenza, ma invia nuovi, inediti, messaggi all’Occidente. E li affida al suo “portavoce” ufficiale, il fotogiornalista britannico John Cantlie – catturato nel 2012 assieme al giornalista americano James Foley decapitato poi nell’agosto del 2014già protagonista di alcuni reportage che descrivevano con minuzia di particolari l’organizzazione statale del Califfato e ne giustificavano con toni propagandistici i motivi della sua grandezza, in servizi televisivi che avevano fatto il giro del mondo.

IL TEMA INEDITO DELLA TREGUA E DEL NEGOZIATO

Nella rubrica denominata “Shift Paradigm”, per la prima volta Cantlie fa emergere un messaggio politico che invoca, seppur tra le righe, la «tregua» e il «negoziato». «Una tregua con le nazioni occidentali è un’opzione nella legge della Shari’ah», scrive. «I tentativi falliti da parte della coalizione di “contenere” il Califfato sono già una notizia vecchia. Ma che dire della parola magica, “negoziare”?» irrompe il reporter inglese. «Questa è una notizia bomba. Proprio recentemente Obama ha ribadito che “non ci sarà alcun negoziato” con lo Stato Islamico, un fatto noto ai miei compagni di cella», spiega Cantlie, chiamando in  causa gli ostaggi Alan Henning, James Foley, Steven Sotloff, David Haines e Alan Henning barbaramente uccisi dai tagliagole del Califfato.

Pur ribadendo che lo Stato Islamico «non accetterà mai una collaborazione con l’Occidente», il fotogiornalista britannico lancia un monito a Stati Uniti & co.: «Se le nazioni occidentali vogliono una tregua, dovrebbero pensarci tre volte prima di buttare all’aria questa opportunità». Cantlie, però, lascia intendere che i tempi non sono ancora maturi: «L’Occidente avrà bisogno di continuare ostinatamente a sganciare bombe e ad uccidere diversi gruppi di sciiti per almeno un altro anno o due prima che una qualsiasi ipotesi di tregua venga raggiunta».

E conclude: «Ma si tratta di un interessante prospettiva, quella che vede l’Occidente negoziare con lo Stato islamico. Succederà mai?».


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