Naturalmente, anch’io ho il cuore spezzato per la mattanza parigina. Ma sono soprattutto indignato per la cecità e l’inerzia dei governi occidentali di fronte a quella che è una vera e propria aggressione ai nostri valori e al nostro stile di vita. Sfogliando i quotidiani di oggi, scopro che qualcuno si è finalmente accorto che siamo in guerra. Ma resta da chiarire un equivoco. Perché non c’è nulla di più fuorviante nel dire “guerra di religione” se non si precisa che solo uno dei guerreggianti è animato da un fanatismo religioso che porta decine di giovanotti infoiati a farsi saltare in aria nel nome di Allah.
La verità è che il conflitto tra Islam e Occidente è da tempo un conflitto armato, non un semplice “scontro di civiltà” (per riprendere l’espressione di Samuel Huntington) o una semplice contrapposizione ideologica tra società teocratiche “per grazia di Dio” e società laiche “per volontà del popolo”. Come ha osservato Giovanni Sartori, raramente gli eventi storici sono stati promossi da larghe maggioranze. I kamikaze dell’Isis sono relativamente pochi, eppure bastano a tenere in scacco il mondo. Senza contare che un solo “Stato canaglia” in possesso di armi chimiche e nucleari basta a terrorizzarci.
Cosa fare, dunque? Intanto cominciamo a dire le cose come stanno. Non si può cancellare la realtà cancellando le parole che la denotano. Se siamo in guerra, il “califfato” va combattuto con mezzi adeguati e sul suo terreno. I droni sono in grado di far esplodere qualche covo di jihadisti, ma noi continuiamo a fare affari con le élite arabe che finanziano il terrorismo fondamentalista. E Barack Obama dovrebbe capire che senza un accordo, anzi un’alleanza con Vladimir Putin, al-Baghdadi continuerà a fare il bello e il cattivo tempo in Siria, in Iraq, in Libia.
Sul piano della sicurezza interna, va ricordato ai miserabili speculatori per fini elettorali dei massacri nelle piazze europee che i kalashnikov non sono nascosti sui barconi dei disperati che approdano sulle nostre coste, ma appartengono a immigrati di seconda e terza generazione. Chiedere a Francia e Inghilterra per credere. Anche se ciò dovrebbe far riflettere chi ha teorizzato un malinteso multiculturalismo, il quale ha spesso creato una società a compartimenti stagni, i cui gruppi sono molto identificati in se stessi, e quindi non hanno né voglia né capacità d’integrazione.
Lo sdegno, l’esecrazione, le marce, gli appelli all’unità contro i tagliagole del sunnismo radicale (a proposito, dove sono e cosa fanno i musulmani moderati?) sono tutti sentimenti dovuti e tutti atti edificanti. Ma la palla è in mano ai governanti europei, americani e russi. Devono decidere se, invece di continuare a passarsela tra loro, intendono lanciarla oltre la rete.