Difficile comprendere cosa intendano o vogliano far intendere coloro che da anni scrivono, dibattono e sermoneggiano di “guerra di civiltà”. Se di guerra si parla, significa che almeno due parti si fronteggiano in un cruento conflitto, ovvero imbracciano le armi, lasciano disperazione e morte nei campi di battaglia sparsi in tutto il mondo in un crescendo che porta inevitabilmente alla sconfitta o sparizione della parte soccombente. Quando poi specifichiamo con la parola civiltà, allora la questione si complica parecchio. Quali civiltà, ovvero quali culture, forme di educazione, benessere, libertà, progresso e civilizzazione sono in conflitto tra loro da generare una guerra?
Per molti – troppi probabilmente – la risposta è immediata, per molti versi scontata ed agghiacciante: è una guerra di religioni, da una parte quella Cristiana, dall’altra l’Islam.
Trattandosi di religioni di pace, tale affermazione è peraltro una contraddizione in termini. Sul punto, giova ricordare il saluto che ogni musulmano pronuncia in occasione di un incontro, “aleikum as-salam” , tradotto dall’arabo significa “la pace scenda su di te”. Ed è ricambiato con “alaikum as-salam” traducibile con “e così su dite”. È la medesima formula che conclude la liturgia del culto cristiano “Andate in pace”.
Va da sé che da questa elementare formula si apre poi un oceano di discussioni, confronti, punti di contatto e divergenza, identità e valori dell’Occidente che sentiamo in pericolo e minacciati da altri che spesso non conosciamo a fondo se non per stereotipi propagandati anche ad uso e costume di contingenti opportunità politiche e di consenso dei leader di turno. Pertanto una discussione infinita che, di fatto, rischia di essere sterile e generare solo altro conflitto, odio e rivendicazioni.
Tuttavia, a coloro i quali insistono con la convinzione che stiamo vivendo una guerra di civiltà, vien da porre una domanda, molto semplice: come pensano di eliminare un “nemico” rappresentato da 1.8 miliardi di persone? Come pensano di sconfiggere definitivamente la paura e difendere la loro civiltà? Davvero più difficile, se non impossibile, dare una risposta.
E se al contrario le civiltà non c’entrassero nulla? E se iniziassimo a chiamarla “guerra al terrorismo” senza aggiungere altre parole, tanto meno termini e riferimenti religiosi, condividendo e coordinando le azioni da intraprendere insieme e non contrapposizione ai Paesi di fede musulmana?
Sempre di guerra stiamo parlando, ma senza confondere il nemico riuscirebbe più agevole prendere decisioni tempestive ed il cambio di paradigma rappresenterebbe un enorme balzo in avanti sia culturale che fattuale nella sconfitta della paura e del terrore.