Non per difenderlo, ma per criticarne in modo politicamente più corretto la posizione assunta sulla disciplina delle cosiddette unioni civili, non è giusto che si cerchi di inchiodare Matteo Renzi alla posizione contraria assunta nel 2007, quando era presidente della provincia di Firenze. E a Palazzo Chigi sedeva Romano Prodi, che si proclamava cattolico “adulto” replicando a chi, in Vaticano e dintorni, gli rimproverava troppa disponibilità verso le istanze delle coppie di fatto, anche omosessuali.
Si ha pur sempre il diritto di cambiare idea. Passa il tempo, passano le circostanze, passano le generazioni. Lo stesso Pontefice su questo tema delle unioni civili, etero e omosessuali, si è non dico defilato ma quasi, anche a costo di spiazzare il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Del quale oltre Tevere si è lasciato scrivere senza smentite o precisazioni che il Papa avesse cancellato o rinviato un’udienza perché infastidito degli interventi contro il provvedimento all’esame del Senato. Cosa peraltro che non ha scoraggiato Bagnasco dal ritorno sull’argomento con toni decisi.
Una volta che il Papa, non solo nell’interpretazione dell’amico Eugenio Scalfari, declassa da peccato ad errore la “confusione fra le unioni volute da Dio e le altre”, si fa fatica a condividere le barricate praticate o invocate, parlamentari o di piazza. E a inchiodare Renzi, ripeto, alle parole e agli atteggiamenti di nove anni fa.
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Quello che invece ritengo più seriamente e doverosamente contestabile a Renzi e ai suoi amici è l’uso politico che stanno facendo della disciplina delle unioni civili, anche con adozioni annesse e connesse, dette magari in inglese per nasconderne ai più il significato.
Contesto, in particolare, che si possa leggere, o far leggere, la nuova legge come una cosa di sinistra. Che servirebbe al presidente del Consiglio, e segretario di un partito composito come il Pd, per compensare le cose di destra fatte detassando la prima casa, riducendo la portata del famoso articolo 18 sui licenziamenti e, più in generale, riformando il mercato del lavoro, aumentando il livello degli acquisti in contanti, accelerando il licenziamento degli assenteisti e furbetti del cartellino, e altro ancora.
Targare a destra ciò che è avversato dalla sinistra, e viceversa, è un esercizio un po’ troppo datato. E repellente quando si gioca con materiale molto sensibile.
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L’uso strumentale dei diritti civili per classificare o classificarsi a destra o a sinistra evoca il miserando, fallimentare spettacolo che ha afflitto il Novecento identificando la sinistra con il comunismo e liquidando l’anticomunismo come destra. Una destra addirittura reazionaria, fascista, che quando volle o le convenne non esitò peraltro ad accordarsi, e persino allearsi, con il regime comunista.
A destra nel 1947 finì, nella rozza classificazione degli untori di sinistra, Giuseppe Saragat per avere tradotto il suo anticomunismo nella scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini, mentre il Psi di Pietro Nenni – ahimè – sceglieva il suicidio politico del frontismo.
Toccò poi a Randolfo Pacciardi, il cui anticomunismo, aggravato dal presidenzialismo, lo emarginò a destra, purtroppo anche con la complicità di Ugo La Malfa, che lo espulse, o lasciò espellere, dal Partito Repubblicano.
A Carlo Donat-Cattin, un autentico leader di sinistra della Dc, proveniente dalla Cisl, bastò opporsi a metà degli anni Settanta alla prospettiva di un’intesa o alleanza di governo col Partito Comunista per vedersi e sentirsi sbattere a destra: cosa che – posso testimoniarlo, essendogli stato amico – lo addolorava moltissimo. E che forse contribuì, per reazione più o meno consapevole, a quel dramma familiare che fu la militanza del figlio Marco nel terrorismo rosso.
Non parliamo poi di Bettino Craxi, appeso con gli stivali a testa in giù nelle vignette persino di Forattini, per il suo dichiarato e militante anticomunismo.
Ora che il comunismo sopravvive solo nell’anomalo capitalismo cinese, per stare o tornare a sinistra, grazie alla bussola tattica di Renzi, basta accettare e sostenere le unioni civili. Unioni e forse anche adozioni coperte, come i nudi marmorei del Campidoglio davanti al troppo pudico, esigente e danaroso presidente iraniano Hassan Rouhani, con il compensato delle “formazioni sociali specifiche”. E relativa sigla: FSS. Con la doppia s per non confonderle con le Ferrovie dello Stato, e i binari su cui viaggiano i loro treni: paralleli come i matrimoni veri e i surrogati.