Quando martedì pomeriggio, alla conferenza stampa delle forze politiche che appoggiano il Family day, un cronista ha chiesto se, di fronte al passaggio delle unioni civili in Parlamento, Ncd lascerà la maggioranza, Maurizio Sacconi l’ha gelato: “Le pare questo il momento di chiedere una cosa del genere? Noi ci batteremo contro la legge. Che al momento al Senato non ha i numeri. Poi vedremo. Affrontiamo un capitolo alla volta e ora non è proprio il caso di fare questa domanda”.
Le parole di Sacconi lasciano trasparire nervosismo, ma anche determinazione. Quella di chi sa cosa accadrà da qui a due settimane. La mediazione in corso nel Pd con i cattolici contrari alle unioni civili (una trentina i senatori, al momento determinanti), infatti, seppur a stento, procede. E la decisione di spostare a martedì prossimo il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità regala al trio Renzi-Lotti-Boschi giornate preziose per tessere la loro tela. Sabato si farà sfogare la piazza del Family day, ma poi, con i cattodem, il premier confida di approdare a un accordo che consentirà a una parte di loro di rientrare.
La richiesta di voto segreto, del resto, potrebbe trasformarsi da arma contraria ad arma a favore, perché, invece di scappare, i voti potrebbero arrivare. Da Forza Italia, di sicuro, ma addirittura pure da qualche leghista e dalla parte più laica di Ap, come gli ex socialisti che ruotano intorno a Fabrizio Cicchitto.
Intendiamoci, di certo non vi è nulla, e la tela potrebbe disfarsi da un momento all’altro. Ma le possibilità che il ddl Cirinnà passi, ci sono. A quel punto la palla passerà ad Alfano. Che non esclude di ricorrere all’arma di un referendum su alcune parti della legge, se passerà. Ma se fosse una questione di bookmakers inglesi, la sua uscita dalla maggioranza di governo verrebbe data 90 a 1. “Sulle unioni civili abbiamo piantato i nostri paletti, sventolato la nostra bandiera, quindi, anche in caso di approvazione, non ne usciremo male. Ma non si fa cadere un governo per le unioni civili”, racconta un deputato centrista di lungo corso. Dai boatos che circolano in Transatlantico, quindi, Alfano è disposto a ingoiare questo boccone amaro e continuerà a sostenere Renzi. Magari cercando di uscirne al meglio buttando la palla avanti, con la richiesta di referendum abrogativo, che sposta il problema più in là.
Tanto più che proprio ora il partito di Angelino sta per godere dei frutti di una lunga trattativa sul rimpasto di governo. Oggi infatti il consiglio dei ministri ha nominato nuovo ministro degli Affari Regionali l’alfaniano Enrico Costa. Un altro esponente di Area Popolare, Antonio Gentile, sarà sottosegretario allo Sviluppo economico, da dove esce Carlo Calenda, nominato da Renzi rappresentante permanente dell’Italia a Bruxelles. Inoltre Dorina Bianchi, sempre di Area Popolare, sarà sottosegretario alla Cultura. Insomma, il ministro dell’Interno può essere contento per il suo raggruppamento. E ciò gli consente di tenere buona la truppa al Senato, che da tempo scalpita proprio per mancanza di posti. “Noi ci sveniamo per il governo e in cambio cosa otteniamo? Niente. Poi arriva Verdini fresco fresco e gli danno tutto”, è il mantra che si alza ogni giorno dal gruppo senatoriale.
Che bisogno c’è, quindi, di mandare tutto a monte e uscire dalla maggioranza? Con la certezza, oltretutto, di lasciare un’altra bella fetta di prateria a Denis Verdini e la sua truppa? “Alfano ormai ha imparato i meccanismi della politica e ci si muove a suo agio -ragiona un senatore di Ap – Conosce Renzi e sa fino a che punto può tirare la corda, ma anche quando è il caso di fermarsi. Pensate che sia un caso il fatto di non partecipare al Family day, con la scusa di essere il ministro dell’Interno?”.
Già, perché, nonostante sia stato pungolato da più parti, ultimo il governatore lombardo Roberto Maroni, Alfano sabato in piazza non ci sarà (ma ci sarà a nome di Area Popolare il ministro Gianluca Galletti). E ai suoi che parteciperanno ha chiesto di usare toni soft. E soprattutto di non chiamare in causa direttamente il premier o il governo. Al limite, attaccare il Pd. Perché la corda è già tesa e non è il caso di spingersi ancora oltre.