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Ecco come Grillo sta mollando i 5 stelle a Casaleggio

In questi ultimi giorni, la pubblicazione, sul blog di Beppe Grillo, di un “Codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016” ha suscitato diverse polemiche, soprattutto con riferimento all’introduzione – all’art. 10 – di una «clausola penale» che prevede, in caso di “una eventuale violazione di quanto contenuto nel presente Codice” da parte dei candidati, un risarcimento dei danni subiti dal movimento e quantificati “in almeno Euro 150.000,00”.

Si è discusso – e si dovrà continuare a discutere – sulla legittimità di clausole che vincolano, di fatto, l’attività politica dei singoli candidati alle direttive di partito (un “impegno” analogo era stato fatto sottoscrivere dall’Italia dei Valori ai propri candidati). Ma l’importanza essenziale del Codice di comportamento, sta in realtà in un altro punto: è la prima volta, infatti, che in un documento ufficiale del M5S, compare ripetutamente il nome di Gianroberto Casaleggio.

Nel Codice si fa riferimento per quattro volte a Casaleggio, al quale si attribuiscono poteri e competenze diverse:

(a) si prevede, anzitutto, per Sindaco, assessori e consiglieri l’impegno (etico) di dimettersi a seguito di «decisione assunta da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio o dagli iscritti M5S mediante consultazione online». Si noti, qui, che viene ritenuta sufficiente la decisione di Grillo e Casaleggio (la consultazione on line viene soltanto indicata come alternativa possibile);
(b) a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio viene, inoltre, attribuito il potere di procedere alla costituzione di uno “staff della comunicazione delle strutture di diretta collaborazione politica degli eletti”;
(c) saranno, inoltre, Grillo e Casaleggio che avranno il potere di provvedere al coordinamento dello “staff” che avrà il compito di contestare il mancato rispetto degli impegni assunti dal candidato, richiedere il pagamento della penale. E sempre Grillo e Casaleggio sono i soli autorizzati a delegare “portavoce” del M5S ad agire in giudizio per l’esecuzione degli obblighi risarcitori assunti dal candidato.

Tenuto conto che Grillo ha, ormai, di fatto rinunciato ad esercitare il proprio ruolo di “capo” politico del Movimento, appare evidente che, con questo documento, per la prima volta viene formalmente e pubblicamente riconosciuto che la guida direttiva del Movimento è, oggi, rappresentata unicamente da Casaleggio e dal suo “staff”. Ossia – sempre formalmente – da una persona e da uno “staff”, la cui composizione resta ancora del tutto indeterminata.

Si tratta, evidentemente, di un sovvertimento completo dell’Associazione M5S e della sua organizzazione. Lo Statuto, infatti, prevede, all’art. 11, che «organi dell’associazione» siano unicamente l’Assemblea dei soci, il Consiglio Direttivo – composto da Beppe Grillo, Enrico Grillo ed Enrico Maria Nadasi – ed il Presidente, Beppe Grillo. Poiché nulla viene previsto per il rinnovo eventuale degli amministratori e del Consiglio Direttivo, la relativa competenza spetta esclusivamente all’assemblea dei soci (ossia a tutti gli iscritti al M5S). Nulla viene, inoltre, previsto circa altri organi eventuali.

Oggi, diversamente, i poteri di direzione politica dell’Associazione vengono attribuiti ad una persona che non ricopre alcuna carica in essa e che eserciterà quanto gli viene delegato attraverso uno “staff” che non solo assume tutti i poteri originariamente attribuiti al Consiglio Direttivo ed al Presidente, ma che viene ad esercitare il controllo assoluto sull’operato politico degli eletti (art. 3 del Codice: «Il Sindaco, gli Assessori e i consiglieri del M5S dovranno operare in sintonia con i principi del M5S, con gli obbiettivi sintetizzati nel programma del M5S per Roma Capitale, con le indicazioni date dallo staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle»).

Va da sé che tali previsioni non soltanto sembrano violare tutti i princìpi dell’Associazione – con la conseguenza che gli iscritti al M5S avrebbero, ad avviso di chi scrive, più d’una ragione per impugnare davanti all’autorità giudiziaria il Codice di comportamento –, ma introducono nell’esplicazione del libero mandato degli eletti un vincolo che, più che ricordare la “disciplina di partito”, rende gli eletti stessi dei meri portavoce dello Staff (e non dei “cittadini”). Anche sotto questo aspetto, vi sarebbero ragioni per valutare la legittimità di simili impegni, che finiscono per violare i principi del libro mandato e, a ben vedere, della stessa libertà dei cittadini di associarsi liberamente per il perseguimento di finalità politiche.

E mal si coniuga la potestà di Casaleggio (e Grillo) di imporre le dimissioni del Sindaco – qualora questi non operi “in sintonia […] con le indicazioni date dallo staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle”- con il rilievo che il Sindaco è pur sempre, tra le altre cose, un Ufficiale del Governo, con tutti i poteri/doveri previsti dall’art. 54 del T.U.E.L. (il Testo unico delle leggi sull’ ordinamento degli enti locali).

Anche i vincoli imposti ad assessori e consiglieri appaiono confliggere – in modo stridente – con le prerogative del T.U.E.L. e dello Statuto di Roma Capitale, soprattutto laddove tale Statuto sancisce all’art. 17, in assonanza con l’art. 67 della Costituzione, che “le Consigliere e i Consiglieri Capitolini rappresentano la comunità locale”, e che “Roma Capitale assicura le Consigliere e i Consiglieri Capitolini per tutti i rischi conseguenti al libero espletamento del mandato”.

Al di là di tutto ciò, il dato politico è, comunque, evidente: da oggi, Casaleggio (ed il suo staff) viene pubblicamente riconosciuto come capo politico del nuovo partito. Da oggi il fondatore e attuale direttore di una società commerciale, una s.r.l., è ufficialmente anche il capo della maggiore forza politica dell opposizione. Resta, inoltre, il da farsi. È il momento che la “base” del movimento – gli iscritti, i soci – reagisca, dimostrando che il movimento è dei cittadini, dei suoi iscritti, e non di una società di capitali. E non è escluso che un intervento del Tribunale potrebbe riservare sorprese e che Casaleggio sia costretto a svelare le carte che eventualmente lo hanno reso capo politico del nuovo partito.


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