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Traffico di influenze e Tempa Rossa, cosa pensano i lobbisti

Il costituzionalista Stefano Ceccanti lo ha definito un reato “nebuloso” (qui la sua intervista integrale). Secondo Pier Luigi Petrillo, professore di Teorie e tecniche del lobbying alla Luiss e capo dell’ufficio legislativo della Regione Campania, si tratta di una fattispecie penale “troppo vaga” (la conversazione è consultabile qui). Stiamo parlando del traffico di influenze illecite (qui l’approfondimento su cos’è e come funziona), reato introdotto in Italia con la legge anticorruzione del 2012, scoperto improvvisamente da quotidiani e televisioni con la questione Tempa Rossa.

UNA QUESTIONE SISTEMICA

Ma, al di là del singolo episodio, le riflessioni che si pongono, investono il tema ben più sistemico dei rapporti tra pubblico e privato, tra politica e impresa. Una relazione, in fondo, naturale e inevitabile, che rischia di essere scompaginata o, comunque, distorta dalla presenza nel nostro ordinamento di un reato di così difficile definizione. E’ questo il timore di molti addetti ai lavori.

PAROLA AI LOBBISTI

Dopo aver raccolto le opinioni sul tema dei due accademici, Formiche.net ne ha parlato anche con i rappresentanti di alcune delle principali società italiane di lobbying. Per capire come valuti la situazione chi ogni giorno, per la sua professione, intrattiene rapporti più o meno diretti con le istituzioni e i decisori pubblici.

TRAFFICO DI INFLUENZE, GUIDI E CONFLITTO D’INTERESSI

Fabio Bistoncini – fondatore della società di lobbying FB&Associati – non ha dubbi nell’inquadrare la vicenda che ha portato alle dimissioni Federica Guidi e che sta facendo discutere l’Italia da ormai una settimana. Il primo elemento che mette in evidenza è l’assenza di una disciplina sulle lobby. Passo fondamentale – spiega Bistoncini – perché consentirebbe di avere una normativa completa, che dica al tempo stesso cos’è lecito e cos’è illecito. “Da sola questa fattispecie è troppo vaga, con la conseguenza di poter essere interpretata in maniera diversa a seconda del pubblico ministero o del magistrato considerato”. Nel nostro ordinamento c’è, però, un’ulteriore lacuna denunciata da Bistoncini. Un vuoto di cui ciclicamente si torna a parlare nel nostro Paese: la mancanza di una legge sul conflitto d’interessi, che sia davvero in grado di garantire l’imparzialità dei decisori pubblici. “Il caso Guidi è l’emblema del conflitto d’interessi”, commenta. Da qui l’esigenza di mettere mano alla questione in Parlamento, perché – aggiunge ancora – “la legge firmata da Frattini nel 2004 fa acqua da tutte le parti”.

I TROPPI SE DEL TRAFFICO DI INFLUENZE

Dice un altro lobbista, Massimo Micucci, consulente strategico in Reti (fondata da Claudio Velardi) e autore del libro “Trafficante sarà lei. Lobby, politica e traffico d’influenze”, scritto con Santo Primavera e pubblicato all’indomani dell’approvazione della legge anticorruzione:  “Ci sono troppi se e troppi punti interrogativi nel modo in cui il reato stesso è ideato”. Secondo Micucci, qualsiasi soggetto – e non solo i lobbisti – entra inevitabilmente in contatto, a vario titolo, con i decisori pubblici: “Tra i loro doveri c’è pure quello di ascoltare gli stakeholders”. Dunque, la difficoltà sarebbe quella di definire esattamente i termini della fattispecie: “Cosa si intende per mediazione illecita? Cosa si intende per sfruttamento della relazione?”, si chiede ancora Micucci. Conclusione: “Bisogna completare la disciplina con una legge sul lobbying. Prima era discutibile se servisse mentre oggi è indispensabile”. La ragione che deve far optare per una soluzione del genere sarebbe da rinvenire nella cultura giuridico-politica esistente in Italia. Una tradizione – conclude amaro Micucci – secondo la quale è, di fatto, “considerato fuorilegge tutto ciò che non è previsto dalla legge”.

TRASPARENZA PRIMA DI TUTTO

C’è poi un altro tassello nella vicenda, e nella configurazione del reato stesso: il ruolo interpretato dall’azienda o dalla persona che usufruisce della cosiddetta mediazione illecita. Punto sottolineato da Giampiero Zurlo, presidente e amministratore delegato di Utopia, società di relazioni istituzionali, lobbying, affari legali e comunicazione: “C’è stata una totale incompetenza da parte dei dirigenti della Total che hanno danneggiato la stessa azienda e violato i codici di disciplina interni al cui rispetto sono vincolati dipendenti e consulenti. Una condotta che Zurlo definisce inaccettabile: “Non si può immaginare che un manager di un’importantissima multinazionale possa interloquire con un membro del governo attraverso la mediazione del convivente di un ministro”. Spaccato che rischia di gettare un’ombra anche su quanti sono impegnati in un’attività di public affairs. Da questo punto di vista, però, il fondatore di Utopia è netto. Un conto – dice – sono i professionisti formati e competenti, che svolgono questo lavoro in modo trasparente, e tutt’altro, invece, i faccendieri improvvisati che si mettono a svolgere una funzione di mediazione per il semplice fatto “di essersi ritrovato la compagna ministro o un cugino in Parlamento”.


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