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Caro Stefano Parisi, davvero il turbo liberismo è il tuo programma politico?

È stata una prima ricognizione dei grandi temi che turbano il sonno di una parte del popolo italiano. Cose già dette e sentite. Eppure è stato impressionante quel lungo elenco di cose che si sarebbero dovute fare, ma che non sono state onorate. Perché?

Questo interrogativo ha dominato, inespresso, la platea. Ma le risposte non sono venute. Era forse inevitabile, visto il contesto, la voglia di ripartire, quella ricerca appena avviata per creare una comunità, più che una forza politica, che voglia operare per il “per” e non “contro”. A favore di un progetto che dia speranza. E Dio solo sa quanto questo sia necessario.

Quelle risposte, questo almeno l’auspicio, verranno. Ma solo se sulla base delle tante cose ascoltate si giungerà a capire le ragioni più profonde delle tante delusioni. Quel “legno storto” su cui è costruita la società italiana va esaminato più da vicino per individuare le grandi contraddizioni che lo alimentano. In quel cielo sempre più plumbeo, rappresentato dal contesto europeo ed internazionale, che toglie il respiro.

Non basta dire che il mercato è tutto e lo Stato un mostro da abbattere. Il primo va naturalmente sostenuto ed il secondo contenuto, a causa del suo perimetro eccessivo. Ma questo è ancora un discorso solo quantitativo. Quando oggi quel che più conta è la qualità. Qui sta il discrimine tra lo spreco e l’efficienza, seppure traslata, di una struttura, inevitabile pubblica, chiamata a realizzare l’architettura destinata ad esaltare la funzionalità del mercato.

Un discorso passatista? Dobbiamo guardare alla crisi della Lehman Brothers e ricordare le cause originarie, che l’hanno alimentata. Quel moral hazard che ha pervaso tutto il mondo di una finanza, senza controlli, fino all’inevitabile tracollo. Ma che cos’è la finanza? Non è forse mercato? Anzi secondo i classici – si pensi a Hilferding – è l’essenza stessa del mercato capitalista, che si emancipa progressivamente dalle basi materiale della semplice produzione di beni.

Ecco allora i parametri veri di riferimento. Non basta agitare i vecchi temi dottrinari del liberalismo. Che in Italia – ci sarà pure una ragione – è rimasto sempre una corrente minoritaria. Il liberismo a cui pensare è semmai quello di Menichella o di Beneduce. Ma era poi “solo” liberismo? O quel tentativo di conciliare quel grande patrimonio culturale con le asperità di un presente storico, che mal si presta allo schema delle “formidabili” esemplificazioni.


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