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Perché M5S non è un partito né conservatore né progressista

Luigi Di Maio

Il fenomeno politico più interessante dei nostri tempi, e certamente meno comprensibile sul piano politologico, è il M5S. La sua comparsa storica è stata la meteora elettorale con cui si è affermato alle politiche del 2013, e con cui ha dominato lo spazio pubblico e i risultati alle ultime amministrative di quest’anno, dopo la battuta di arresto delle Europee. La sua presenza elettorale e la portata del consenso che raccoglie sono ormai un dato di partenza per ogni analisi prospettica sul futuro politico italiano.

All’inizio, quando ancora esisteva un duopolio tra centrodestra e centrosinistra, lo stato di cose ha costretto i grillini fuori da ogni possibile collocazione. Un movimento anti sistema che, più e meglio di ogni altro, contestava il tutto della politica ufficiale, fino al limite di apparire come episodio, e ce ne sono stati tanti nella storia repubblicana, puramente protestatario. Adesso le cose sono cambiate. Il centrodestra vive da anni una crisi politica ed elettorale, e il M5S di fatto è diventato il polo accentratore di consenso nazionale più importante di alternativa al Pd.

A scanso di equivoci, con ciò non si vuol dire che il centrodestra non abbia un futuro, anzi, ma che l’efficacia del progetto di Stefano Parisi sia proprio quello di rendere possibile un tripolarismo, davanti all’ineluttabile destino contrario di una sola alternativa a due PD-M5S. Da qui nasce l’esigenza di comprendere meglio non tanto ciò che è adesso ma cosa possa o potrebbe diventare il M5S come forza maggioritaria e di Governo contrapposta, per necessità di cose, al centrosinistra.

Su questo tema sono intervenuto qualche giorno fa su Formiche.net con un articolo che inaspettatamente ha generato un ricco, interessante e talvolta persino aspro dibattito su Facebook. In quella riflessione ho cercato di inquadrare il M5S nello scenario possibile di una interpretazione filosofica delle distinzioni tradizionali tra destra e sinistra che nel bene e nel male esistono ancora in tutti gli Stati democratici del mondo.

Sulla legittimità dell’antitesi, molto criticata ragionevolmente da alcuni lettori, rimando a studi classici e nuovi sul tema, emersi a partire dal noto libro di Norberto BobbioDestra e sinistra” per arrivare, passando per gli scritti di Marco Revelli, all’ultimo importante saggio di Carlo GalliPerché ancora destra e sinistra“.

Rifacendomi ad Augusto Del Noce, nonché a Renzo De Felice, sono convinto che il M5S, badate bene non “sia”, ma “abbia delle analogie” con quei movimenti politici di ieri e di oggi che appartengono alla complessa galassia del ‘radicalismo di destra’.

Prima precisazione: radicalismo di destra non è sinonimo di estrema destra. Alla seconda appartengono tutti quei movimenti che sono ‘ultra conservatori’, come il Fronte Nazionale o la Lega; alla prima invece partiti e movimenti che non si collocano per nulla nel centrodestra o nella destra estrema, ma che, in virtù di un certo metodo diretto e antagonistico e in nome di una totale contrapposizione al centrosinistra tradizionale, interpretano una lettura estrema della democrazia come espressione rousseauviana di totale critica morale del potere, luogo di corruzione e causa di ogni male. Nicola Genga ha spiegato molto bene questo in un recente libro dedicato al Fronte Nazionale, un partito appunto di estrema destra e non un semplice radicalismo politico anti sinistra come è forse, e dico forse, il grillismo.

Ringraziando pertanto i tanti interventi che sono stati scritti, specialmente quelli critici e non offensivi, cioè la maggior parte, profitto per aggiungere qualche chiarimento utile alla mia tesi, invitando ad intervenire ancora. La democrazia per me è questo: discutere apertamente e duramente sulle idee senza personalismi.

Ho citato Del Noce non a caso. Egli infatti, a mio avviso, ci dà alcuni suggerimenti preziosi.
La distinzione tra destra e sinistra deriva dalla Rivoluzione Francese e ha avuto tante declinazioni diverse, specialmente durante e dopo i totalitarismi del XX secolo. Oggi, finite le ideologie, continua e ritorna la distinzione originaria ben espressa da Carlo Marx nelle sue “Tesi su Feuerbach“: chi è di sinistra ritiene che l’azione riformatrice o rivoluzionaria degli uomini sia il fondamento della politica, mentre chi è di destra pensa che la realtà, la continuità storica, la natura di una società siano un dato di partenza permanente che precede in modo immanente l’azione umana, dandogli significato e limite politico.

In questo quadro il M5S è sicuramente un movimento di sinistra rispetto, ad esempio, alla Lega: quest’ultima ha la realtà locale e nazionale da difendere, mentre il M5S s’interessa alla partecipazione volontaria del popolo e dei cittadini al cambiamento dell’establishment.
Del Noce notava infatti che il radicalismo di destra ha dei caratteri che sono associabili alla sinistra, vale a dire l’accettazione del primato della partecipazione attiva dei cittadini, senza però, al contrario della sinistra, indirizzarla materialmente a finalità ideologiche e politiche prestabilite: uguaglianza, giustizia economica, europeismo, umanitarismo, eccetera.

Bene. Questo è il senso della mia tesi. Il M5S non è un movimento conservatore, quindi non appartiene alla destra popolare e nazionale, e non è certo progressista perché manca di quella cultura razionalista e illuminista della governance istituzionale che anima sia il riformismo di Renzi e sia il massimalismo classico della minoranza di sinistra del Pd.
A mio avviso si tratta di una lettura di destra radicale della visione attivistica della volontà generale di Rousseau, una visione interessante ed originale confermata ed espressa da una negazione plastica e risoluta verso tutto e tutti, nonché dalle continue auto epurazioni e da un certo culto del capo, tanto presente quanto avvolto nel mistero imponderabile.

Le riforme volute dai Cinquestelle non sono mosse da una meta finale e sono antagoniste ad ogni realtà sottratta al gioco democratico. Il successo elettorale e il suo destino spaziale sono tuttavia inseparabili e difficilmente compatibili tra loro. Quando si sono presi i voti bisogna governare e fare politica. Ecco allora che lì deve emergere con chi si sta e con chi non si sta, chi è il tuo alleato e chi il tuo concorrente. E qualora il M5S dovesse arrivare contro la destra e la sinistra a governare da solo, chi rimane come minoranza darà all’azione grillina l’inevitabile collocazione, svelandoci se si tratta di un radicalismo di destra o di sinistra. Se ciò non avverrà vorrà dire soltanto che la sua battaglia è persa e il suo ruolo non più significativo dal punto di vista elettorale.

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