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Perché Stefano Parisi non sarà trumpista

Stefano Parisi

Esiste un comune denominatore tra personaggi come Grillo, Salvini e per alcuni versi Renzi, che la neo presenza di Stefano Parisi fa risaltare? Dopo aver sentito il suo intervento conclusivo al Megawatt di Milano, il sospetto è più che giustificato. Confermato da alcuni commenti a quella performance che, in effetti, ricordava altri tempi. Un convegno professorale è stato detto: quasi a sottolineare qualcosa lontano dalle realtà. O meglio dallo stile – si fa per dire – della comunicazione politica più recente.

Lo sforzo di Parisi è stato quello di fare i conti con la complessità del reale. Pochi gli slogan. Le critiche sempre argomentate. Continui gli inviti a lavorare “per” e non “contro” qualcuno o qualcosa. Nella consapevolezza che questi sono lussi che non possiamo più permetterci. La crisi, non solo italiana, è talmente profonda da non consentire divisioni, che non abbiano un fondamento basato su alternative realistiche. Abbaiare alla luna alla ricerca di qualche facile, quanto inutile, consenso serve a poco. Basterebbe pensare alla sorte toccata al bonus degli 80 euro. Non hanno prodotto la benché minima accelerazione nella crescita complessiva del Paese. E sul piano politico si sono dimostrati essere una barriera di carta di fronte al dilagare del populismo.

Analisi supponente? Forse. Decisamente fuori linea di fronte al trumpismo. Che sembra essere l’ultimo ritrovato contro una politica per troppo tempo ingessata da un buonismo paralizzante. Anch’esso figlio, tuttavia, di un crescente distacco tra il mondo reale è una cultura che si trastulla con la sua storia. Mentre il mondo cambia ad una velocità impressionante. Ma è proprio questa la tartaruga, quella del paradosso di Zenone, da raggiungere. E lo si può fare solo se cessa l’illusione che sia indispensabile parlare solo alla “pancia” dell’elettorato. Sollecitando le sue pulsioni più irrazionali.

Non sappiamo dire se Stefano Parisi, alla fine, vincerà la sua battaglia. Di una cosa siamo tuttavia sicuri. Si può coltivare l’illusione di cavalcare la tigre. Ma finita l’ubriacatura elettorale, restano i problemi da affrontare. Ed allora vi sono solo cambiali da onorare. E se le risorse intellettuali si dimostrano scarse, non resta che portare i libri in tribunale.

 


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