Nuovo duro intervento dell’Economist nei confronti di Matteo Renzi. Il paio dopo l’endorsement a favore del No. Allora corretto, con un pizzico d’ipocrisia, in un successivo articolo, a firma del corrispondente da Roma, pubblicato tuttavia su “The world in 2017“. Qui, al contrario, si lisciava il pelo ai Sì. Contraddizione evidente. Soprattutto calcolata. Il numero speciale – ossia “The World” – non fa parte dell’abbonamento. Ma viene inviato a chi lo richiede con un supplemento di circa 10 sterline. Quindi diffusione più limitata. Ed ora la vera linea editoriale del settimanale è nuovamente confermata. Titolo dell’editoriale, con la foto del Presidente del consiglio strappata e rattoppata: “Recuperando il relitto – Un Matteo Renzi spericolato porta il suo Paese in un disastro politico. Ora l’Italia è costretta a raccogliere i cocci”. Se poi qualcuno non avesse ancora capito, ecco il papale papale: “Questo giornale aveva supportato il No”.
Non corre, quindi, una grande simpatia. Come non sembra correre per l’intero nostro Paese. Basta ripensare a “Berlusconi unfit” (inaffidabile), quando l’ex Cavaliere guidava le sorti del suo governo. E che ora è nuovamente chiamato in causa, insieme agli altri protagonisti della vita politica italiana, in un ritratto che lasciamo al giudizio dei lettori: “Ma l’ottuagenario Mr. Berlusconi, che ha subito un intervento a cuore aperto quest’anno, deve combattere lo stress: poco prima che Mr. Renzi rassegnasse le dimissioni fu costretto a recarsi in ospedale, a causa di “leggere palpitazioni””. E’ quindi in grado di contrastare la pressione di Matteo Salvini, che punta alla leadership del centro destra?
Questo quindi il quadro politico, in un cupo scenario in cui si staglia la figura di Beppe Grillo, pronto ad uscire dal’euro e candidare la sua creatura – il “Movimento 5 stelle” – al governo del Paese. Fosse così sarebbe la dichiarazione di un completo fallimento. L’Italia deve, infatti, affrontare due problemi che sono grandi come una casa. Il bisogno assoluto di riforme per fare uscire la sua economia dalla lunga stagnazione. Il che, a sua volta, presuppone il mantenimento della stabilità finanziaria, dopo i risultati del No e il ripristino della legittimità delle sue istituzioni. La finanza pubblica italiana – prosegue impietoso – è fragile. Il debito pubblico supera il 130 per cento del Pil. Il sistema bancario è sull’orlo di un piccolo disastro. Segue, quindi, una puntualizzazione sulla vicenda del Monte dei Paschi, che non lascia molto sperare. Specie se collegata a casi meno drammatici, ma ugualmente significativi: Unicredit, UBI banca, Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Dopo un rapido accenno alle banche salvate (provvisoriamente) dal Fondo Atlante.
La stabilità finanziaria è la condizione indispensabile per perseguire il secondo obiettivo: la fuoriuscita dall’attuale “pasticcio” politico. Il Paese ha visto succedersi ben 65 governi dalla fine della seconda guerra mondiale. Negli ultimi anni si sono alternati ben tre primi ministri: Mario Monti (17 mesi), Enrico Letta (10 mesi) e Matteo Renzi (33 mesi). “Tutti e tre sono stati frutto di una crisi o di intrighi politici, ma non dell’esito di libere elezioni”. Matteo Renzi aveva varato le sue riforme alla ricerca di un governo più stabile. “Ma la durata del Governo non è garanzia di buon governo, come Mr. Berlusconi (di nuovo!) dimostra”. Occorre, quindi, varare un buona legge elettorale, per questo “il Presidente, Sergio Mattarella sta resistendo apertamente nei confronti dell’ipotesi di una frettolosa scadenza della legislatura”.
Del resto se Matteo Renzi insiste nel ritenere che il 40 per cento dei votanti, che si sono espressi per il Sì, siano ormai acquisiti, sul piano politico generale; il restante 60 per cento dovrebbe essere rivendicato da Beppe Grillo a supporto del suo programma populista. Quindi conti che non tornano. Per cui: fermi tutti. “In prospettiva l’unica strada per risolvere questo pasticcio è un voto popolare che dia mandato per perseguire i difficili obiettivi delle necessarie riforme”. Tesi che, al di là delle antipatie per questo o per quello o delle critiche non sempre generose, è difficile non condividere.