Nell’accidentato percorso dell’Unione europea Lisbona ha rappresentato una tappa significativa degli obiettivi da raggiungere e delle realizzazioni da compiere. Nel marzo del 2000, a Lisbona, il Consiglio Europeo adottò l’obiettivo strategico, da conseguire entro il 2010, di “diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale“. Sempre nella capitale del Portogallo, il 13 dicembre del 2007, venne firmato un nuovo trattato che riformava le istituzioni europee in chiave di maggiori unità, trasparenza e partecipazione. Anche il programma “UE 2020”- adottato nel 2010 a conclusione del primo ciclo – ha rappresentato la prosecuzione della strategia di Lisbona 2000.
++++
Sarà forse per rispettare la vocazione europeista di quella capitale che, a Lisbona, si sono riuniti, nei giorni scorsi e per la seconda volta, i Capi di Stato e di Governo di Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna: i Paesi cosiddetti mediterranei appartenenti alla zona euro. La dichiarazione conclusiva dell’incontro ha ribadito il principio di una maggiore integrazione in Europa, attraverso il completamento dell’unione bancaria entro la prima metà del 2017, il potenziamento della dimensione della solidarietà economica e sociale, la definizione di una fiscalità europea, la difesa dal terrorismo, il rilancio delle prospettive delle generazioni future attraverso la creazione di posti di lavoro. Bene. La riunione, tuttavia, ha avuto il senso di un pellegrinaggio in un luogo consacrato alla causa europea (una sorta di Lourdes della Ue) per chiedere aiuto contro le forze del “maligno populista” nelle prossime consultazioni elettorali. Ma, purtroppo, è dubbio che le processioni, le novene e gli atti di fede siano in grado di sconfiggere il virus “sovranista” che si sta diffondendo nel Continente e che arriva da Oltreoceano.