Oggi alle 13,30 la Camera dei Deputati si riunirà di nuovo per l’esame della legge elettorale, affrontando innanzitutto le preliminari questioni di costituzionalità. Si tratta del risultato di un’accelerazione molto auspicata che deriva da un accordo pattuito tra le quattro forze politiche principali che si contenderanno le prossime elezioni: Pd, FI, Lega e M5S.
Le polemiche, com’è giusto in democrazia, non sono mancate e non cesseranno, sia da parte di chi come Angelino Alfano ha sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale del progetto di legge e sia da parte di autorità istituzionali, come il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, le quali hanno invece soprattutto contestato l’accordo di utilità che avrebbe ispirato il patto tra i maggiori partiti.
A scanso di equivoci, occorre subito osservare, cosa certamente non sfuggita a Napolitano, che la questione dell’eventuale ricorso anticipato alle urne è totalmente fuori argomento, perché riguarda infatti non la riforma in sé ma l’opportunità politica di andare avanti in ogni modo fino alla scadenza del mandato. Per cui, comunque la si pensi, è un bene che il Parlamento finalmente si decida a rendere possibile agli italiani andare a votare con una legge elettorale politica, chiara e condivisa, ovviamente quando sarà e quando Sergio Mattarella riterrà opportuno.
Il vero nodo, nondimeno, al di là del malcontento di questo o di quello, è il merito della legge che tenta una mediazione tra diversi interessi che hanno bloccato finora il processo di riforma, il quale prevede ora un combinato disposto tra proporzionale e maggioritario alla tedesca, in grado di garantire, di là dei difetti evidenti, sicuramente rappresentatività e governabilità.
Il punto positivo, a prescindere da ogni legittima valutazione critica, è stato bene espresso da Matteo Renzi, il quale ha dovuto rinunciare al suo innato istinto maggioritario per contentare i suoi interlocutori, in particolare Silvio Berlusconi, garantendosi così l’appoggio, sia pure a singhiozzo, persino del riluttante Beppe Grillo.
In questa fase politica vi sono due certezze: la prima è la positività di una riforma in comune e la seconda che, in un sistema perlomeno tripolare, resterà assicurata la possibilità di un’intesa parlamentare dopo le elezioni che permetta la formazione di una maggioranza al Paese, probabilmente frutto di una coalizione allargata. Gli italiani, d’altronde, votando No al referendum, hanno consapevolmente scelto il mantenimento della Repubblica Bicamerale, la quale vuole appunto che le maggioranze si formino in Parlamento. Appunto per questo le critiche mosse ieri anche da Romano Prodi e da Giuliano Pisapia, oltre che da Napolitano, non sembrano affatto persuasive, malgrado tutti i limiti presenti comunque in qualsiasi legge elettorale, com’è ovvio che sia.
Diverso è il discorso di Angelino Alfano. Il ministro degli Esteri, infatti, ha ragione ad essere politicamente deluso per un’alleanza con il centrosinistra che non sembra dargli adesso i risultati sperati. Il Centro Popolare parrebbe finire addirittura sacrificato sull’altare della larga coalizione voluta da Renzi con Berlusconi e Grillo. Nel merito si deve dire, tuttavia, obiettivamente che un sistema tripolare è già sufficientemente rappresentativo della pluralità da non richiedere un abbassamento dello sbarramento. E non è detto che un progetto centrista debba necessariamente rimanere al di sotto del 5 %. Una sostanziale semplificazione della parcellizzazione, insomma, rientra oggi nell’interesse del Paese, già ampiamente pluralista. Per cui occorre farsene una ragione anche con dolore.
Restano in campo così tante incognite e trappole che potrebbero fare arenare il cammino finale di questa riforma. Anche se è certo che siamo davanti all’ultima occasione utile della legislatura per apportare le modifiche necessarie richieste continuamente anche dal Capo dello Stato, senza le quali si voterebbe con la legge attualmente in vigore, uscita a seguito di un pronunciamento della Corte, disegnando un limbo molto preoccupante. Ovviamente qualsiasi ipotesi risulterebbe, invece, migliore di una malaugurata legge elettorale che fosse unilaterale, non condivisa e contestata all’indomani del voto dalle opposizioni, perché esclusivamente schiacciata sugli interessi di una singola parte.