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Perché io, laico, consiglio il libro del cattolico Gotti Tedeschi

Ettore Gotti Tedeschi

Ettore Gotti Tedeschi è un banchiere (Ior, Santander, ecc.) che, in un ampio saggio appena pubblicato dalle edizioni Giubilei Regnani,“Dio è meritocratico” sceglie di cimentarsi con la riflessione teologica. E lo fa con un piglio da combattimento, prendendo le mosse da quello che definisce un collasso cattolico, un cedimento sia sul piano della fede sia su quello della ragione.

In quella che apparirà ad alcuni cattolici oggi su posizioni “mainstream” come una specie di provocazione, Gotti Tedeschi decide di aprire il suo libro con il “Credo”, quasi a ricordare (o a presentare!) la “carta d’identità” di un credente cattolico, il complesso di verità (anzi: di Verità) che per definizione dovrebbero appartenergli.

A un laico e liberale come me, può apparire ostica (alla prima lettura, e forse anche alla seconda) la sezione del libro in cui Gotti individua i nemici esterni della Chiesa: il laicismo e il relativismo, appunto. Eppure, dal suo punto di vista, l’autore propone uno schema coerente e razionale: chi è cattolico – dice – dovrebbe scegliere il primato della verità sulla libertà, e far discendere le opere dalla fede, pur sapendo bene che l’etica comportamentale cattolica non è facile da seguire. Troppo facile liquidare tutto – lo dico a eventuali critici prevenuti – in termini di “integralismo”: Gotti si muove in uno spazio diverso, che definirei di “integrità”, di richiesta di consequenzialità tra le convinzioni proclamate e i comportamenti effettivi.

Ma il cuore del libro sta – a me pare – altrove, nell’ampia sezione in cui Gotti si dedica ai nemici interni della Chiesa. Qui il libro diventa una requisitoria documentata e appassionata contro il progressismo teologico, contro una teologia che a poco a poco si annacqua in antropologia o in sociologia, contro i credenti che – a ben vedere – ritengono la loro fede inattuale e inattuabile nel confronto con la modernità. Gotti è feroce rispetto a questo tipo di interlocutori: il confronto – dice riferendosi a costoro – non è tra fede e progresso, ma tra fede e mancanza di fede.

Anche da un punto di vista liberale e laico, appaiono potenti le pagine in cui l’autore se la prende con chi vuole fare della Chiesa una specie di “guardiana dell’ambiente”, di “catto-onlus”, di assistente sociale. Gotti è consapevole di combattere una battaglia contro forze soverchianti, nel suo stesso campo cattolico: e provocatoriamente si chiede cosa debba fare un credente per evitare di “chiedere scusa” o di “rischiare l’arresto” per le sue convinzioni.

Gotti Tedeschi appare molto rispettoso, scrupolosamente attento alla forma, e concepisce le sue pagine come un’offerta di aiuto alla Chiesa, pur sottolineando quanto sia “difficile” aiutarla oggi… Molti vi leggeranno echi della sua esperienza allo Ior, con un coraggioso e meritorio tentativo (a me pare) di voltar pagina rispetto al passato: tentativo a un certo punto interrotto, e non per volontà di Gotti. Ma nel libro l’autore più volte accende i riflettori su un evento a suo avviso cruciale, e cioè la rinuncia al pontificato da parte di Benedetto XVI, e lancia un interrogativo di fondo sul perché di quelle dimissioni. Sarebbe arbitrario – da parte mia – azzardare risposte o spiegazioni, ma mi pare che Gotti inviti a concentrare l’attenzione sul punto centrale del libro, e cioè quale sia il senso della missione della Chiesa: preservare e diffondere la fede o accontentarsi di compromessi con il “mondo”?

Personalmente, dal mio punto di vista liberale e agnostico, e da osservatore politico, sta proprio qui l’enigma legato al pontificato di Bergoglio. Abilissimo a far riguadagnare alla Chiesa il centro della scena e a coltivare una sicura popolarità personale: ma a patto di omologarsi, di conversare (quasi con battute intercambiabili…) con Scalfari, di essere “accettato” quasi come una figura da talk-show, o come un politico (ce ne sono tanti, in Europa e in Sud America) che scommette sulla demagogia terzomondista-pauperista-assistenzialista.

Mi ritraggo subito da questo terreno. C’è già troppo affollamento di cattolici che pretendono di spiegare ai laici come comportarsi, e – per converso, ancora più comicamente – di laici aspiranti estensori di encicliche.

La mia posizione di liberale, di agnostico, di chi cerca e continua a cercare, consapevole del mistero in cui siamo immersi, mi rende naturaliter diffidente nei confronti di chi (credente o ateo) ritiene già di aver trovato (o è certo di non poter trovare), e dunque – in entrambi i casi – maneggia certezze granitiche e inscalfibili.

Ma, in ogni caso, è confortante sapere che, tra i credenti, ci sia chi crede davvero, e non ha timore di dirlo e di comportarsi di conseguenza. Meglio costoro, a cui si consiglia vivamente questo importante saggio, dei credenti del tipo “Coca-Cola light”, a cui può bastare una qualunque predica social-assistenzialista.



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