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Laura Boldrini e le istituzioni che fanno politica

È una notizia che non è una notizia. Il presidente della Camera Laura Boldrini, (in foto), ha deciso di scendere in campo direttamente, unendo le sue forze alla complessa galassia che si muove a sinistra del Pd. Dicevo che non è una notizia: in realtà, non è neanche una novità, dato che prima di lei anche il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha fatto la medesima scelta di campo. Ed entrambi si troveranno a militare nel movimento “Liberi ed eguali”, differenziandosi unicamente nel genere.

Niente di grave, naturalmente. Siamo abituati almeno da un paio di decenni a non distinguere più con nettezza anche solo apparente tra i ruoli istituzionali e le ambizioni personali di chi li ricopre.

Di per sé, conviene ripeterlo, non c’è nulla di scandaloso se, come la protagonista ha dichiarato, “finendo la legislatura, non finirà anche il suo impegno”.

Il problema è un altro e riguarda la scissione tra ruolo istituzionale e passione personale durante il mandato ricoperto in questi anni da presidente della terza carica dello Stato. Qui però si deve uscire dal personale e guardare in faccia alla realtà, pensandola nel suo insieme.

In un sistema parlamentare com’è il nostro, le guide dei due rami legislativi hanno una funzione eccezionalmente importante che rimanda niente meno che all’essenza stessa della Repubblica parlamentare. Ci ricordiamo Luciano Violante che si sforzò di rendere possibile il dialogo tra destra e sinistra legittimando la storia degli ex fascisti che non era per nulla la sua. E ci rammentiamo Pier Ferdinando Casini o Fausto Bertinotti che hanno ricoperto quel ruolo bene e con equilibrio, non senza sacrifici per la propria futura carriera.

“Continuare con Liberi ed Eguali la propria agenda e le proprie convinzioni” significa averle sempre avute, fortuna sua, e indica però anche il suo non essere mai uscita dalla propria faziosità iniziale, sfortuna nostra. Un segno tutt’altro che positivo per l’Italia.

Anche perché una “sinistra che non può essere conservazione”, come la protagonista ha aggiunto, speriamo bene almeno che non decida di essere contraria al mantenimento di un sia pur minimo “senso della funzione pubblica”.

Aristotele insegnava tanti secoli fa che lo Stato è la comunità stessa, la quale costituisce il fine supremo dell’attività istituzionale. Le forme di governo, infatti, variano, e adesso, possiamo aggiungere, sono blandite da interessi soggettivi che costituiscono l’unica sensibile ambizione di chi fa politica. Tuttavia tale distinzione torna rilevante quando qualcuno decide di accettare di essere chiamato a svolgere posti che per definizione richiedono la demarcazione etica tra “interesse pubblico”, ossia “bene comune”, e “interesse privato”, vale a dire, chiariva Isidoro di Siviglia, “privato commodo”.

Siamo tutti sollevati che Boldrini abbia deciso di portare avanti i suoi ideali. Lo siamo meno pensando che questi siano stati inseguiti finora, sotto il manto di retorica buonista che il nostro tempo richiede, come dei valori superiori allo Stato e al bene comune, presupposti ideologici personali oggi proseguibili finalmente con mezzi elettorali dall’alto scranno che ancora ricopre.

A chi sente la mancanza del rigore e la competenza austera con cui Amintore Fanfani presiedeva il Senato, nonché l’altissimo senso delle istituzioni di Sandro Pertini o di Pietro Ingrao, cade un po’ di tristezza addosso, quasi un brivido freddo, pensando a queste cose. Vorremmo vedere il sorriso e la serietà di Nilde Iotti, piuttosto che assistere a questo spettacolo declamatorio.

Le vere riforme, insegnava Sant’Agostino, sono interiori e profonde, non osservano il coniugare con parole insistenti in italiano nomi e aggettivi al femminile, ma toccano l’essenza stessa di ciò che siamo, nonché la funzione reale che la politica deve avere per il bene della nazione.

L’immagine finale di questa legislatura mostra un Paese in crisi di professionalità politica, salvo rare eccezioni, e un futuro che non promette, purtroppo, discontinuità o cambiamento di senso dello Stato.

Anzi, se è permessa una conclusione caustica, stiamo vivendo l’acconto salato di un saldo pesante che sarà certamente passivo e nel segno di un caos che in modo sicuro sarà ribattezzato qua e là “innovazione” e “progresso”.

Essendo tuttavia prossimi al Natale e a settant’anni dalla nascita della nostra Costituzione Repubblicana, possiamo certamente sperare che Dio ce la mandi buona e che l’Italia sappia scegliere il meno peggio.


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