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Elogio della cravatta (alla Camera)

picchi, ISTITUZIONI economie

Qualcuno dirà: non si ha idea su quale sarà il prossimo governo e il problema sono le cravatte? Sì, se rientrano in una questione più importante che è la buona educazione nel confronto politico. La polemica è vecchissima, più volte inutilmente sollevata, ed è tornata di attualità dopo le prime riunioni organizzate dalla Lega e dal M5S con i parlamentari neoeletti. Le cronache riportano che Matteo Salvini abbia catechizzato i suoi imponendo un codice di abbigliamento adeguato pur precisando che alla Camera è obbligatoria la giacca, ma non la cravatta senza la quale, invece, non si accede al Senato: sembrano passati secoli dall’invasione di leghisti alla buona del 1994 e dalla “cravatta texana” di Francesco Speroni, il cordino di cuoio al collo che fece inorridire molti. Anche i grillini appaiono diversi rispetto al 2013 e c’è da giurare che il loro abbigliamento migliorerà.

Chi è molto rompiscatole sostiene che un abbigliamento decoroso sia dovuto anche per il rispetto verso il luogo che si frequenta, figuriamoci quindi Montecitorio dove in teoria si rappresenta il popolo italiano. Sostiene anche che il regolamento giusto sia quello del Senato, dove i commessi ti fermano prima dell’ingresso se non indossi la cravatta e, in caso, te ne prestano una. Alla Camera nel corso degli anni l’andazzo ha contagiato anche giornalisti e tecnici radiotelevisivi, con in più la moda della barba incolta che deborda sul collo nudo: insieme con un abbigliamento discutibile si ha una rappresentazione da corteo studentesco o da sciopero di metalmeccanici. Perché non si può ripristinare una regola di buon gusto? Mistero. Qualche anno fa, il clima estivo convinse due autorevoli statisti a indossare in Aula una maglietta Lacoste (in Aula con la Lacoste!) sopra la quale avevano una giacca che non trovereste neanche a Porta Portese, dove i commercianti vi spiegherebbero che non scendono a quel livello.

Si potrebbe pensare che si tratta comunque di coerenza, ma non è così. Tra i mille esempi prendiamo quello di Roberto Giachetti che ci scuserà, che resta persona più educata e preparata di tanti inqualificabili personaggi incravattati che hanno occupato gli scranni parlamentari, ma che nella legislatura appena conclusa è stato addirittura vicepresidente della Camera. Ora è nel Pd, ma la sua cultura è quella del Partito radicale di Marco Pannella. Vedere Giachetti con la cravatta è come conservare la figurina Panini del portiere Pizzaballa: un privilegio di pochi. Eppure qualche eccezione c’è. Per esempio, il 3 febbraio 2015 Sergio Mattarella giurò come presidente della Repubblica: alla Camera c’erano tutte le cariche istituzionali e Giachetti indossò la cravatta. Oppure il 24 maggio successivo lo stesso Mattarella rese omaggio al Milite Ignoto a Piazza Venezia in occasione del centesimo anniversario dell’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale: Giachetti indossò la cravatta, altrimenti il Milite Ignoto sarebbe risorto come Lazzaro e gli avrebbe fatto passare un brutto quarto d’ora. Va anche detto che in entrambi i casi aveva una camicia “button down”, proprio il contrario della formalità, ma non si può avere tutto dalla vita. La domanda però è questa: se in quelle occasioni l’ha indossata mentre non l’ha mai fatto quando ha presieduto l’Aula di Montecitorio, non sarebbe lecito pensare che ha tenuto in scarsa considerazione i cittadini lì rappresentati?

E le donne? Anche se deputate, molte di loro restano soprattutto angeli del focolare perché il loro primo pensiero al mattino, ma proprio il primo, dev’essere quello di correre al mercato per comprare l’insalatina fresca e così vanno con i jeans sdruciti o con una tutina. Non ci può essere altra spiegazione se poi, improvvisamente, ricordano che hanno una riunione in Commissione o addirittura sono richieste in Aula. Allora via: lo Stato chiama, la deputata risponde così com’è vestita, con il risultato di vedere nel Transatlantico abbigliamenti simili a quelli di chi ha appena finito le pulizie pasquali o è reduce da una nottata in discoteche poco raccomandabili.

Che poi alla Camera sono severissimi, ma solo con il pubblico che vuole assistere alle sedute: per gli uomini obbligo di giacca e cravatta, non sia mai si montassero la testa credendo di essere uguali a deputati e giornalisti. In attesa di capire che governo nascerà, sarebbe facile una prima riforma bipartisan: il ritorno della buona educazione. Forse è una missione impossibile, ma almeno proviamoci. Per cominciare, basterebbe una cravatta.

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