Ci eravamo lasciati ai Chequers – la residenza estiva del primo ministro inglese – quando venerdì i ministri consegnavano i cellulari all’ingresso per evitare che trapelasse anche solo una parola di più rispetto alla riunione più importante in vista della Brexit. Per alcune ore erano rimasti a discutere con tutto il mondo fuori in attesa. Ed erano usciti approvando la proposta May senza troppi nervosismi. Lo si era visto anche ai vari talk show della domenica: i ministri erano tutti disciplinati, anche i più, al solito, nervosi. In tanti, infatti, hanno notato come fosse stranamente mansueto il rissoso Michael Gove, ministro dell’Ambiente.
Ma la mezzanotte di domenica non era ancora scoccata che il segretario della Brexit, David Davis, ha annunciato le sue dimissioni. Un vero è proprio terremoto politico che sta provocando la peggiore crisi da quando il primo ministro ha perso la maggioranza piena del Parlamento.
Intanto, Dominic Raab, riferisce il Guardian, sino ad oggi ministro per la Casa, ha preso il suo posto questa mattina, nominato ministro per la Brexit dal premier britannico.
David Davis ha annunciato le sue dimissioni dopo una trattativa serale nell’apparente tentativo di allontanare la May dalla “Brexit morbida”. E in un effetto domino facilmente prevedibile hanno lasciato dopo poco anche il sottosegretario Steve Baker e Suella Braverman, che aveva anche prestato servizio nel Dipartimento per l’uscita dall’Ue.
Ma David Davis non ha lasciato la sua poltrona in protesta per una versione della Brexit che non era quella che tutti si aspettavano. Secondo fonti attendibili Davis meditava le dimissioni da settimane, stufo, da un pezzo, di essere ignorato da Theresa May e messo costantemente da parte a favore di Olly Robbins: l’onnipresente, e per qualcuno “onnipotente”, consulente per il Dipartimento per l’uscita dall’Unione europea. Da tempo, infatti, Olly Robbins, considerato, peraltro, uno dei pupilli della May faceva il lavoro che sarebbe toccato a Davis. Pare che quest’ultimo abbia tenuto quest’anno solo quattro ore di colloqui diretti con Michel Barnier, il capo negoziatore dell’Unione europea. Davvero troppo poche.
Alla riunione di gabinetto ai Chequers, Davis aveva iniziato a mostrare il nervosismo che si portava dentro da tempo, ma con il suo contributo “scontroso” si era limitato a sollecitare Downing Street a non cedere a troppe concessioni con Bruxelles. Niente di più. Eppure sabato mattina alla stampa si era mostrato molto stanco.
Davis, d’altronde, aveva ripetutamente fatto appello al primo ministro affinché gli desse più ascolto e gli facesse giocare un ruolo capace di farlo finalizzare, piuttosto che lasciare, continuamente, che fosse mister Robbins a prendere il comando. Il malessere di Davis, dunque, affonda le sue radici in un risentimento diverso da quello che la stampa ha sbattuto in prima pagina.
Nella lettera di dimissioni formale, Davis ha dichiarato di non essere stato d’accordo con Downing Street in “un numero significativo di occasioni”, e di essersi morsicato la lingua più e più volte perché aveva “ritenuto che fosse ancora possibile mantenere il mandato del referendum e l’impegno lasciare l’unione doganale e il mercato unico”.
Tuttavia, ha aggiunto, “temo che l’attuale tendenza politica e tattica stia rendendo questo aspetto sempre meno probabile”. Davis ha criticato la “progressiva diluizione” della posizione Brexit del governo e ha concluso, rivolgendosi sempre più esplicitamente alla May: “Ovviamente questo è un campo opinabile ed è possibile che tu abbia ragione e io abbia torto. Comunque, anche in quel caso, mi sembra che l’interesse nazionale richieda un segretario di Stato nel mio dipartimento che sia un entusiasta sostenitore del tuo approccio e non un semplice coscritto riluttante”.
Jacob Rees-Mogg, a capo da sempre dei sostenitori della hard-Brexit, in questi giorni è parso piuttosto turbato circa le ultime decisioni del governo e ha già dichiarato più volte che voterà contro un cattivo accordo, ma non ha ancora sollecitando i circa sessanta membri del suo gruppo a inviare lettere a Graham Brady, presidente della commissione 1922 dei backbenchers di Tory, per un voto di fiducia. Se al comitato – composto da tutti i parlamentari conservatori backbenchers, che si riunisce settimanalmente mentre il Parlamento è in sessione e fornisce un modo a questi ultimi di coordinare e discutere le loro opinioni indipendentemente dai frontbenchers – arriveranno quarantotto lettere, il voto sarà praticamente automatico.
Intanto da Jeremy Corbyn a Nigel Farage la decisione di Davis è stata accolta con favore, nonostante, ancora adesso, se ne ignorino le conseguenze.
Dimissioni che, ad ogni modo, giungono alla vigilia di un importante test per la May. Questa settimana si sarebbe dovuta aprire con i vari tentativi del primo ministro nel convincere Bruxelles e il resto dell’Ue a non rifiutare la proposta concordata con i suoi ministri. Era previsto che parlasse anche con Macron mentre David Davis avrebbe intrapreso un tour nelle varie capitali europee. Ma adesso le priorità, probabilmente, sono cambiate.
E il Daily Mail si domanda se per il primo ministro può andare peggio; “sì – scrivono – una valanga di dimissioni”.